Utilizzo ampio per il reverse charge

Pubblicato il 10 ottobre 2008 È passato un anno dall’entrata in vigore dell’istituto del reverse charge nelle compravendite immobiliari (1° ottobre 2007) e, sebbene molta strada è stata fatta per far chiarezza su questa regola che riguarda i fabbricati strumentali o loro porzioni, molti dubbi restano ancora aperti. Fin dall’inizio si è ipotizzato che l’emissione di fatture senza indicazione dell’imposta (c.d. ad “aliquota zero”) sarebbe stato un vantaggio per gli acquirenti, che spesso hanno richiesto l’applicazione dell’inversione contabile anche quando non c’era titolo per farlo, con rischio per i contraenti di incorrere nelle sanzioni previste all’articolo 6, comma 9-bis, del Dlgs 471/97. Altre volte, invece, un uso improprio del reverse charge nelle cessioni immobiliari è stato favorito dall’incertezza, come per esempio avviene per l’applicazione delle aliquote ridotte del 4 o del 10% in edilizia. Tra le principali ipotesi che generano incertezza nell’applicazione dell’inversione contabile vi sono le cessioni di fabbricati strumentali assoggettati a recupero, dato che tra le varie tipologie di lavori non è sempre facile distinguere, ad esempio, tra un intervento di restauro e risanamento conservativo oppure una manutenzione straordinaria. Al riguardo potrebbe essere d’aiuto l’elenco contenuto nella circolare n. 57/E/1998, che enumera le operazioni rientranti tra gli interventi di manutenzione ordinaria, quella straordinaria, gli interventi di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia. Si parla di ristrutturazione tutte le volte che si realizza un diverso carico urbanistico: in caso di successiva vendita dell’unità immobiliare entro i quattro anni dall’ultimazione dell’intervento, il cedente non potrà applicare il reverse charge ma il regime di imponibilità Iva al 10 per cento.
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