Non integra una discriminazione fondata sull’età o sul sesso (o sulla combinazione di entrambi), una normativa nazionale che, nell’ambito di un regime previdenziale professionale, subordini il diritto alla pensione di reversibilità per i partner registrati superstiti agli affiliati, alla condizione di aver contratto l’unione civile prima del compimento dei sessanta anni da parte dell’affiliato. E ciò ancorché il diritto nazionale non consentiva all’affiliato interessato di contrarre un’unione civile prima di raggiungere tale limite di età (in quanto non era ancora entrata in vigore la Legge che lo autorizzasse).
E’ quanto chiarito dalla Corte di Giustizia Ue, sentenza del 24 novembre 2016 - C 443/2015, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione della Direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra un cittadino irlandese e l’Università irlandese, che aveva negato al partner del ricorrente, alla data del decesso di quest’ultimo, il beneficio della pensione di reversibilità, prevista dal regime previdenziale professionale cui il medesimo ricorrente era affiliato. Ciò sulla base della normativa nazionale – ritenuta dunque non discriminatoria dagli eurogiudici - che fissava per l’appunto un limite di età (non più di 60 anni alla data dell’unione civile) per il riconoscimento della pensione di reversibilità
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