Illegittimo l’accertamento di maggiori ricavi basato sull’applicazione degli studi di settore se la società è caratterizzata da ristretta compagine familiare e i soci risultino sia dipendenti che amministratori: non sussistono, in tale ipotesi, i presupposti legittimanti la presunzione del comportamento antieconomico.
E’ stata confermata, dalla Cassazione, la statuizione con cui la CTR aveva accolto le ragioni di una Srl, oppostasi ad un avviso di accertamento per maggiori ricavi non dichiarati ai fini Ires, Irap e Iva.
L’Ufficio finanziario aveva considerato le voci di costi per retribuzioni di dipendenti, per contributi e accantonamenti superiori all’utile di esercizio dichiarato nonché l’inadeguatezza della percentuale di ricarico applicata come indici di un ricorrente comportamento antieconomico, alla luce delle risultanze dello studio di settore applicato.
Secondo le Commissioni tributarie adite, per contro, poiché la società era caratterizzata da una ristretta compagine familiare e i soci risultavano allo stesso tempo dipendenti e amministratori, non sussistevano i presupposti per l’applicazione della presunzione del comportamento antieconomico.
Come risultava dai rispettivi CUD, infatti, tutti i soci erano inquadrati come soci-lavoratori, percependo mensilmente un reddito da lavoro dipendente e ciò era confermato dall’iscrizione di ciascuno di essi alla gestione commercianti dell’INPS con versamento dei relativi contributi.
Con comunicato stampa del 27 giugno 2007, del resto, la stessa Agenzia delle Entrate, in ordine alle cause giustificative della non congruità dello studio di settore in presenza di compensi erogati agli amministratori, aveva chiarito che le risultanze degli studi medesimi non erano attendibili per l’insussistenza dei presupposti dell’accertamento posto in essere ovvero della incoerenza dell’indice di produttività per addetto e della incongruità dei ricavi dichiarati.
L’Ufficio finanziario aveva promosso, comunque, ricorso davanti ai giudici di legittimità, lamentando violazione e falsa applicazione di legge.
Motivo, questo, giudicato inammissibile e infondato dalla Corte di cassazione, per come si legge nel testo dell’ordinanza n. 17303 del 17 giugno 2021.
Correttamente, la Commissione regionale aveva considerato sostanzialmente sussistente, nella specie, la causa giustificativa del contestato scostamento dallo studio di settore commentato nel citato comunicato stampa dell’Agenzia.
Era stato ritenuto, infatti, che i costi per lavoro dipendente sostenuti dalla società, stante la stretta compagine familiare della stessa nella quale i soci erano al tempo stesso dipendenti e amministratori, concretizzasse una valida circostanza tale da rendere inattendibili le risultanze dell’applicazione degli studi di settore.
Conclusioni a cui ha aderito anche la Suprema corte, secondo la quale la CTR aveva fatto corretta applicazione dei principi in tema di studi di settore e gestione antieconomica.
I giudici di secondo grado, a fronte di un accertamento di maggiori ricavi non dichiarati, basata sull’applicazione dello studio di settore per antieconomicità di gestione, avevano ritenuto provata - con una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità - la esclusione dell’attività d’impresa dall’area di applicazione degli standards.
Ciò, come sottolineato, in considerazione della sussistenza, avuto riguardo alla ristretta compagine e all’inquadramento dei soci, della causa di giustificazione dello scostamento, in relazione all’indicatore del “valore aggiunto per addetto” delle spese per lavoro dipendente.
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