In tema di reati tributari, il profitto del reato oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale. Sicché nell'ipotesi di sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato da parte della Commissione tributaria, ex art. 47 D.Lgs. n. 546/1992, i presupposti per il sequestro preventivo funzionale alla confisca non vengono ridimensionati, in considerazione della cognizione sommaria e limitata nel tempo della sospensione medesima.
Solo l’eventuale sgravio da parte dell’Agenzia delle Entrate, o la sentenza di merito – anche non definitiva – da parte della Commissione tributaria, fanno venir meno il profitto del reato ai fini del sequestro.
E’ tutto quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, respingendo il ricorso di un’indagata per reato di dichiarazione infedele ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, i cui beni erano stati sottoposti a sequestro preventivo. La Commissione tributaria aveva tuttavia sospeso gli avvisi di accertamento nei confronti della medesima indagata, così venendo meno – secondo quest’ultima – l’unico presupposto genetico del sequestro preventivo, che andava dunque revocato.
Censura respinta dalla Corte Suprema – con sentenza n. 19994 del 27 aprile 2017 – secondo cui non può certo ritenersi che la predetta sospensione faccia venir meno la pretesa tributaria e la stessa azione penale; dunque il requisito per il sequestro preventivo. I presupposti del sequestro, difatti, possono eventualmente venir meno solo in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della Commissione tributaria, anche con sentenza non definitiva.
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