Precisazioni della Cassazione in riferimento alle norme che disciplinano la disapplicazione delle disposizioni antielusive: la richiesta di contributi pubblici, poi non accordati, non integra una oggettiva situazione idonea a superare la presunzione legale di sussistenza della società di comodo.
Vanno scrutinate anche le ragioni della mancata concessione e l’eventuale sussistenza dei requisiti in capo al contribuente.
E’ sulla scorta di questo principio che la Suprema corte, con ordinanza n. 16697 del 14 giugno 2021, ha accolto il ricorso con cui l’Agenzia delle Entrate aveva impugnato una decisione della CTR per violazione e/o falsa applicazione di legge, con riferimento alle norme che disciplinano la disapplicazione delle disposizioni antielusive.
Si tratta delle disposizioni contenute nell’art. 30, comma 4-bis della Legge n. 724/1994, nell’art. 37-bis, comma 8, del DPR n. 600/1973 e dell’art. 1 del DM Finanze n. 259/1998.
Tali norme prevedono espressamente che, in presenza di oggettive situazioni che abbiano reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi, la società interessata può chiedere la disapplicazione delle disposizioni antielusive mediante apposita istanza da presentare al direttore regionale delle entrare competente per territorio.
Nel caso specificamente esaminato, la direzione regionale dell’Agenzia aveva rigettato l’istanza di disapplicazione, ritenendo che le circostanze addotte dalla società contribuente fossero ascrivibili a libere scelte imprenditoriali, non rientranti tra le oggettive situazioni che rendono impossibile il conseguimento dei ricavi.
La Commissione regionale, per contro, aveva ravvisato l’esistenza di tali circostanze oggettive, identificandole, nella specie, nella mancata concessione degli incentivi economici previsti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
In particolare, i giudici di gravame avevano ritenuto sussistente la situazione oggettiva di impossibilità a raggiungere le soglie del test di operatività, in quanto, a loro dire, la mancata concessione degli incentivi pubblici aveva reso antieconomica la costruzione degli impianti, rendendo di fatto impossibile lo svolgimento dell’attività imprenditoriale e la realizzazione dei conseguenti ricavi.
Una tale affermazione, secondo gli Ermellini, contrastava con la finalità della norma di cui all’art. 30, comma 4-bis della Legge n. 724/1994 che era stata, così, falsamente applicata: lo svolgimento di attività economica non poteva dipendere in via esclusiva dall’ottenimento di incentivi economici pubblici, dovendo l’imprenditore pianificare la sua attività, predisponendo i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro oggettivo, inteso almeno come copertura dei costi con i ricavi, e con l’eventuale conseguimento di un utile di impresa.
La sentenza impugnata, in definitiva, è stata cassata, con rinvio alla CTR, in diversa composizione, che nel decidere dovrà attenersi al principio appositamente enunciato secondo cui:
“La richiesta di finanziamenti o contributi pubblici, poi non accordati, non costituisce una oggettiva situazione che sia in grado di disinnescare la presunzione legale di sussistenza della società di comodo desunta dal test di operatività, dovendosi comunque scrutinare anche le ragioni della mancata concessione e l’eventuale sussistenza dei requisiti in capo al contribuente. Tale situazione oggettiva di impossibilità a raggiungere le soglie di redditività scaturite dal test di produttività, può, quindi, essere integrata non solo nel caso in cui i contributi pubblici siano stati tempestivamente richiesti e riconosciuti, senza che siano stati erogati per causa non imputabile alla società stessa, ma anche se la mancata fruizione del contributo pubblico non sia imputabile all’imprenditore”.
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