La Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato da una Srl contro la decisione con cui, in sede di merito, era stata respinta la sua impugnazione a una cartella di pagamento emessa dall’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 36-bis DPR n. 600/1973, per il pagamento dell’Ires, risultante dall’applicazione della disciplina in materia di società di comodo.
La CTR aveva escluso la disapplicazione della normativa antielusiva, invocata dalla contribuente in ragione della asserita sussistenza di circostanze scriminanti, asserendo che la relativa istanza presentata dalla società non conteneva una dettagliata descrizione di tali circostanze.
La contribuente si era rivolta agli Ermellini lamentando violazione e falsa applicazione di legge: secondo la sua difesa, la Commissione tributaria aveva errato nel considerare la presentazione dell’istanza di interpello disapplicativo come obbligatoria, con conseguente preclusione, per la parte, dalla facoltà di far valere in sede giudiziaria la sussistenza delle circostanze esimenti laddove non dettagliatamente descritte in tale istanza.
Con ordinanza n. 28251 del 15 ottobre 2021, la Suprema corte ha giudicato fondato tale motivo, dopo aver compiutamente richiamato la disciplina in tema di società di comodo.
Ha ricordato, in primo luogo, come le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato - vale a dire i soggetti di cui all’art. 30, primo comma, della Legge n. 724/1994 - si considerano “società di comodo” e “non operativi” quando non superano il test di operatività, ossia quando l’ammontare complessivo dei relativi ricavi, incrementi, rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, se prescritto, sia inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinati coefficienti.
In tale situazione, fermo restando l'ordinario potere di accertamento dell'Ufficio finanziario, si presume che il reddito del periodo di imposta non sia inferiore a un importo risultante dall'applicazione di specifici criteri, che fanno leva sul valore di beni e immobilizzazioni posseduti.
A seguire, il comma 4-bis dell’art. 30 citato, nella formulazione applicabile ratione temporis, stabilisce che a fronte di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi nonché del reddito o non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini Iva, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ex art. 37-bis, comma 8, del DPR n. 600/1973.
Tale interpello disapplicativo – ha sottolineato la Quinta sezione civile – non presenta natura di una condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisdizionale del contribuente, né comporta l’elisione della facoltà, per quest’ultimo, di superare la presunzione legale di non operatività, mediante la dimostrazione in giudizio di circostanze oggettive e non imputabili che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi in misura pari alle soglie individuate.
Difatti – si legge nella decisione di legittimità - i principi costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento dell’amministrazione non impediscono all’interessato:
Con particolare riferimento all’Iva, infine, la Corte ha ricordato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in virtù del principio fondamentale di neutralità dell’imposta, la società ritenuta non operativa può portare in detrazione l’imposta assolta, anche se non abbia presentato l’interpello disapplicativo, potendo la prova della sussistenza del diritto essere fornita non solo con la procedura di interpello ma anche in sede processuale.
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