L'autorità giudiziaria non può procedere al sequestro del bene richiesto in consegna sebbene tale richiesta sia avvenuta attraverso un decreto di esibizione, in virtù del quale sussiste un obbligo di consegna immediata della cosa, se il soggetto destinatario (libero professionista) ha opposto il segreto professionale al sequestro dei dati informatici.
Lo sancisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 51446 della Seconda sezione penale, depositata il 10 novembre 2017.
Accogliendo il ricorso di un professionista sottoposto, prima, a perquisizione e, poi, a sequestro di documenti cartacei e su supporto informatico, la Suprema Corte ribadisce l'importanza della tutela della privacy anche in caso di inchiesta penale.
Dopo aver chiarito che la riproduzione dei dati, in qualunque modo avvenga, è pur sempre un sequestro, la sentenza n. 51446/2017 sottolinea come l'attuale formulazione dell'articolo 256 del C.p.p. - che si applica anche ai liberi professionisti - ha superato i precedenti limiti sull’opposizione del segreto professionale, prevedendo un tipo di tutela simmetrica rispetto a quella prevista per la testimonianza.
Pertanto, è ora stabilito che nel caso in cui sorga la necessità di acquisire atti, documenti, dati, informazioni, programmi informatici, l’autorità giudiziaria deve rivolgere una richiesta di consegna al professionista, attraverso un decreto di esibizione, che obbliga alla consegna immediata del materiale.
Il professionista è tenuto alla consegna di quanto richiesto, a meno che il soggetto destinatario della misura non dichiari per iscritto che il bene di cui si pretende l’esibizione è oggetto di segreto professionale.
Conclude la sentenza n. 51446 che: “la formale opposizione del segreto professionale (...) è idonea a impedire all'autorità giudiziaria di procedere al sequestro del bene richiesto in consegna, salvi gli accertamenti previsti dall’articolo 256 comma 2 del Codice di procedura penale”.
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