Rinuncia al preavviso post licenziamento? Contributi comunque dovuti

Pubblicato il 17 maggio 2021

Nel caso in cui il lavoratore licenziato rinunci, con atto transattivo successivo al recesso, al diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, tale rinuncia non ha alcun effetto sull’obbligazione contributiva previdenziale, che deve essere comunque versata all’INPS.

Così la Corte di cassazione, con sentenza n. 12932 del 13 maggio 2021, nel confermare la decisione con cui la Corte d’appello aveva rigettato le domande di accertamento negativo proposte al fine di sentir dichiarare non dovuti contributi e somme aggiuntive pretesi dall’INPS sull’indennità di mancato preavviso alla quale oltre 90 dirigenti di una Spa avevano rinunciato, all’esito della transazione raggiunta con la società, con la quale avevano concordato, accettandola, la cessazione dal servizio.

Per la Corte territoriale, i rapporti di lavoro in esame si erano precedentemente risolti con il licenziamento dei dirigenti, con effetto dal ricevimento della lettera di recesso e con comunicazione del diritto all’indennità di mancato preavviso.

Posto che il licenziamento aveva già prodotto l’effetto risolutivo del rapporto lavorativo, l’indennità di mancato preavviso, espressamente riconosciuta dalla società nell’intimare il recesso, costituiva elemento retributivo già entrato a far parte del patrimonio dei dipendenti, e come tale soggetto ad obbligazione contributiva.

In tale contesto, era priva di rilievo la scrittura privata sottoscritta, qualche settimana dopo il licenziamento, da ogni dirigente licenziato e mediante la quale era stata pattuita la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro a epoca successiva rispetto alla firma della scrittura medesima, con rinuncia ad ogni ulteriore pretesa, compresi il preavviso o l’indennità sostitutiva del preavviso: in essa non era stata fatta alcuna menzione ad un’eventuale revoca del licenziamento.

Indennità di mancato preavviso rinunciata dopo il recesso 

Nella loro decisione, gli Ermellini hanno aderito alle considerazioni dei giudici di gravame.

Sul fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva, avente - hanno sottolineato i giudici di Piazza Cavour - natura di obbligazione pubblica ex lege, non può incidere in alcun modo la volontà negoziale che regoli diversamente l’obbligazione retributiva, ovvero risolva con un contratto di transazione la controversia insorta in ordine al rapporto di lavoro, precludendo alle parti il relativo accertamento giudiziale.

Per la Corte, quindi, l’espressione di una diversa volontà, tra datore di lavoro e lavoratore, non poteva esplicare effetti riflessi sulla posizione dell’INPS, la quale faceva valere in giudizio il credito contributivo derivante dalla legge e non dalla transazione.

Obbligazione contributiva a carico del datore

L’assoggettamento dell’indennità sostitutiva alla contribuzione previdenziale - si legge ancora nella decisione - consegue alla sua natura retributiva ed è nel momento stesso in cui il licenziamento acquista efficacia che sorge il diritto del lavoratore alla medesima indennità e alla conseguente obbligazione contributiva.

Se poi, successivamente, il lavoratore licenziato rinunci al diritto all’indennità, tale rinuncia non ha alcun effetto sull’obbligazione pubblicistica, preesistente alla rinuncia e ad essa indifferente in quanto il negozio abdicativo proviene dal lavoratore, ossia soggetto diverso dal titolare INPS.

L’estraneità della transazione, intervenuta tra datore di lavoro e lavoratore, al rapporto contributivo discende dal principio per cui alla base del calcolo dei contributi previdenziali deve essere posta la retribuzione, dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo, e non quella di fatto corrisposta.

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