La Cassazione ha confermato la misura cautelare del sequestro preventivo disposta nell’ambito di un procedimento penale per riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori, promosso ai danni di due amministratori e di una Srl, come ente giuridico, ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001.
Il primo reato era stato ipotizzato in quanto, secondo la prospettazione accusatoria, il legale rappresentante della Srl, dopo aver ricevuto sul conto corrente di quest’ultima, mediante un simulato contratto preliminare di compravendita, somme di denaro per un importo di oltre 670mila euro provenienti dal profitto di delitti di frode fiscale, le aveva trasferite nella ristrutturazione di un immobile, realizzando, così, operazioni tali da ostacolare l’identificazione della provenienza illecita delle somme stesse.
L’altro reato, invece, era stato supposto in capo ai due amministratori per avere questi, mediante il contratto preliminare simulato, attribuito fittiziamente al legale rappresentante della Srl, che agiva in nome e per conto della società, la titolarità del bene immobile ristrutturato.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 27848 del 24 giugno 2019, pronunciata in rigetto del ricorso prospettato dagli imputati, ha ritenuto corretta la decisione dei giudici del riesame, escludendo che la stessa potesse dirsi caratterizzata, come per contro asserito da parte ricorrente, da una totale assenza di motivazione sui punti essenziali della questione esaminata.
Gli Ermellini, in particolare, hanno sottolineato come il Tribunale del riesame avesse dato conto della provenienza delittuosa delle somme utilizzate nelle varie operazioni, provenienza che la stessa parte ricorrente aveva affermato di non contestare, lamentando, piuttosto, un’asserita assenza di prova in ordine alla consapevolezza, in capo al legale rappresentante, del fatto che le somme a lui versate fossero frutto di provenienza illecita.
Nella loro ricostruzione, i giudici di legittimità hanno formulato una premessa: se, per la configurabilità del delitto di riciclaggio, è necessaria la consapevolezza della provenienza delittuosa del bene ricevuto, non è tuttavia indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto.
La prova dell’elemento soggettivo del reato, in detto contesto, può trarsi anche da elementi indiretti, qualora la loro coordinazione logica sia tale da consentire l’inequivoca dimostrazione della malafede.
Nel caso esaminato, i giudici della cautela avevano dettagliatamente dato atto dei numerosi indici di anomalia dell’operazione esaminata, tali da sottendere il fumus sia dell’elemento oggettivo sia di quello soggettivo del reato ipotizzato.
Il tutto, peraltro, era collocato in un’operazione priva, di per sé, di significato dal punto di vista imprenditoriale e commerciale, in quanto estremamente onerosa e caratterizzata da modalità anomale.
Per la Seconda sezione penale, ovvero, proprio dalla considerazione delle attività descritte nel provvedimento impugnato e dalle anomalie segnalate, emergeva il fumus che ci si trovasse in presenza di attività contrattuali simulate, tali da consentire, attraverso un’apparente operazione immobiliare, la ripulitura di denaro di provenienza illecita.
E’ stato quindi richiamato, sul punto, il principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il delitto di riciclaggio si consuma con la realizzazione dell’effetto dissimulatorio conseguente alle condotte tipiche previste dall’articolo 648-bis, primo comma, cod. pen., non essendo invece necessario che il compendio ripulito sia restituito a chi lo aveva movimentato.
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