In ambito processuale penale, non rientra tra gli eventi sospesivi della prescrizione del reato, il rinvio dell’udienza di dibattimento su richiesta della parte civile, alla quale l’imputato non si sia opposto (a meno che non abbia espressamente assentito).
E’ quanto in sintesi chiarito dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, accogliendo il ricorso di un imputato, condannato in primo e secondo grado per reati di violenza sessuale; reati dichiarati prescritti, ferme invece restando le statuizioni civili.
Sebbene sulla questione si registri un contrasto giurisprudenziale, la Corte Suprema, nella presente pronuncia, non ritiene di condividere l’orientamento secondo cui il rinvio del dibattimento per legittimo impedimento riguardante la parte civile, dia luogo alla sospensione dei termini di prescrizione del reato, quando la difesa dell’imputato abbia aderito, anche solo tacitamente o implicitamente, alla relativa richiesta, non opponendosi all’istanza di rinvio.
Va difatti premesso che la richiesta di rinvio della parte civile per legittimo impedimento, equivale a richiesta di rinvio - avanzata dalla medesima parte civile – per qualsiasi altra causa, in quanto l’art. 420 ter c.p.p. (circa la valutazione del legittimo impedimento del difensore ai fini del rinvio dell’udienza), opera esclusivamente nei confronti del difensore dell’imputato e non si estende alla parte civile. Pertanto – osserva il Collegio Supremo con sentenza n. 51589 del 13 novembre 2017 – la sospensione dell’udienza per cause che non ne determinano necessariamente il differimento, non può applicarsi all’imputato che non abbia espressamente assentito al rinvio, non potendo desumersi il suo assenso per fatti concludenti, sul rilievo che il difensore dell’imputato non si sia opposto al differimento.
Ciò in quanto la sospensione della prescrizione – che opera in tali casi con riferimento al c.d. “rinvio di cortesia” – presuppone che la richiesta di rinvio provenga direttamente dall’imputato o dal suo difensore e non da altre parti processuali. Orientamento, quest’ultimo, avallato anche dalla Consulta, secondo cui, ai fini dell’estensione del catalogo delle cause interruttive e sospensive della prescrizione, il principio di legalità preclude al giudice di pronunciare sentenze additive “in malam partem”; volte ossia ad integrare gli atti che generano l’interruzione/sospensione della prescrizione.
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