Risponde di peculato e di falso in atto pubblico il funzionario della Camera di commercio che si appropri del denaro versato da privati cittadini a titolo di diritti per la cancellazione o riabilitazione dei protesti, inserendo nel sistema informatico fittizie annotazioni della cancellazione per avvenuta riabilitazione ed emettendo false quietanze di pagamento per le pratiche degli interessati.
E’ quanto confermato dai giudici di Cassazione con sentenza n. 13849 del 21 marzo 2017, e con cui è stato confermato l’addebito per peculato e falso in atto pubblico ad un funzionario della Camera di commercio, addetto ai procedimenti relativi alla cancellazione per la riabilitazione dai protesti levati in conseguenza del mancato pagamento di titoli di credito.
Nella medesima decisione, la Suprema corte ha, per contro, escluso il concorso formale tra i delitti di abuso di ufficio e di falso in quanto si trattava di un fatto unico e, pertanto, andava applicato esclusivamente il trattamento sanzionatorio previsto per la fattispecie più grave, in ragione della clausola di riserva prevista dall'articolo 323 del Codice penale.
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