La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tar Lazio in riferimento alla Legge n. 214/2011 e n. 89/2014 (di conversione del D.l. n. 66/2014 recante Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), nonché alla Legge n. 147/2013 (Legge stabilità 2014) recante la disciplina del limite massimo sia alle retribuzioni nel settore pubblico, sia al cumulo tra retribuzioni e pensioni; scelta che si iscrive in un contesto di risorse limitate, che devono essere ripartire in maniera congrua e trasparente.
Nel settore pubblico non è dunque precluso al legislatore dettare un limite massimo alle retribuzioni ed al cumulo pensioni/retribuzioni, a condizione che la scelta, volta a bilanciare i diversi valori di rango costituzionale coinvolti, non sia manifestamente irragionevole. E non appare irragionevole la previsione – di cui alla norma censurata - che limita i compensi nel settore pubblico alla retribuzione percepita dal Primo Presidente della magistratura (240.000,00 euro lordi annui), attuando un giusto contemperamento tra l’esigenza di razionalizzare la spesa pubblica e quella di non sacrificare indebitamente il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto.
La presente questione di legittimità costituzionalità – respinta dalla Consulta con sentenza 124 del 26 maggio 2017 – era stata sollevata dal Tar Lazio in relazione ad una complessa vicenda, ove avevano sporto ricorso alcuni magistrati della Corte dei Conti e consiglieri di Stato di nomina governativa, dubitando sulla legittimità costituzionale della Legge di stabilità 2014, che per l’appunto impediva loro di cumulare, sopra il suindicato limite, pensioni già maturate e retribuzioni per la funzione giurisdizionale svolta.
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