Regolamento cassazionisti alla Consulta

Pubblicato il 31 dicembre 2016

Il Tar Lazio ha ritenuto fondata – con conseguente rinvio alla Consulta – la questione di legittimità costituzionale in riferimento all'art. 22 comma 2 Legge n. 247/2012, per contrasto con l’art. 3 Cost. La disposizione in questione ha difatti introdotto, a parità di condizioni, un difforme e deteriore trattamento per gli avvocati abilitatisi in Italia – che non possono più accedere all’Albo dei Cassazionisti per il mero decorso di dodici anni di esercizio professionale – rispetto agli avvocati stabiliti, per i quali, invece l’art. 9 D.Lgs. n. 96/2001 conserva tale possibilità.

La presente questione di costituzionalità è stata sollevata da un gruppo di avvocati, costituitisi in giudizio per ottenere l’annullamento del Regolamento Cnf n. 1 del 20 novembre 2015 (reso ai sensi dell’art. 22 Legge n. 241/2012), relativo ai corsi per l’iscrizione all'Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori.

Disparità trattamento Avvocati stabiliti favoriti

Secondo il Collegio rimettente, la lamentata disparità di trattamento effettivamente sussiste, laddove il menzionato art. 22 contempla, per gli avvocati abilitati in Italia, un percorso di accesso al patrocinio dinnanzi alle magistrature superiori assai articolato (otto anni di professione per accedere alla prova selettiva che, se superata, dà ingresso ai Corsi organizzati dal CNF tramite la Scuola Superiore dell’Avvocatura che a loro volta si concludono con verifica finale, il cui esito negativo preclude l’iscrizione).  

Viceversa, ai sensi dell’art. 9 D.Lgs. n. 96/2001, l’avvocato stabilito (abilitato fuori Italia) che intende iscriversi all'Albo dei Cassazionisti, deve soltanto dimostrare di aver esercitato la professione forense per almeno dodici anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell'attività professionale eventualmente svolta in Italia.

Occorre in proposito rilevare –precisa il Tar con ordinanza n.2415 del 29 dicembre 2016 – che nel confronto, la norma da sospettare di incostituzionalità non può essere tale art. 9, in quanto introdotto in attuazione di obblighi e principi comunitari (libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi) alla cui osservazione l’Italia è tenuta.

Palesandosi dunque come previsione a contenuto, per così dire, necessitato, il suddetto art. 9 non può che costituire il necessario metro di comparazione rispetto al trattamento assai più oneroso, dunque deteriore ed ingiusto, che altra norma (questa invece, sospettata di incostituzionalità) riserva agli avvocati formatisi ed abilitatisi in Italia. 

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