Non è assoggettabile a revisione la sentenza della Corte di Cassazione che dichiara l’estinzione del reato per prescrizione, pur confermando le statuizioni di condanna dell’imputato ai fini civilistici, giacché in tal caso non si ha una condanna penale.
E’ quanto enunciato dalla Corte Suprema, seconda sezione penale, dichiarando inammissibile l’istanza di revisione proposta nell'interesse di un imputato, avverso la sentenza con cui, prima in appello poi in Cassazione, veniva dichiarata l’estinzione del reato contestato per intervenuta prescrizione, con conferma della statuizione di condanna al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
In proposito, i giudici supremi hanno chiarito che la revisione è un istituto diretto, nella sua previsione codicistica, alla eliminazione della sentenza di condanna ingiusta e finalizzato a prosciogliere il soggetto condannato. Non può dunque ritenersi ammissibile rispetto ad una sentenza di proscioglimento, quale quella in esame, in forza della quale è stata dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, sia pure accompagnata da una statuizione di condanna, a carico dell’imputato, ai soli fini civilistici; a ciò ostandovi il principio di tassatività di cui all’art. 568 primo comma c.p.p., che rende impossibile un’applicazione analogica alla ipotesi della (sola) condanna civile.
Appare dunque chiaro – conclude la Corte con sentenza n. 2656 del 19 gennaio 2017 - come la revisione sia funzionale ad un proscioglimento del soggetto già condannato, mentre sussiste una generale incompatibilità di numerose norme dettate in materia, con riferimento all'ipotesi in cui, dichiarata la intervenuta prescrizione del reato, la revisione riguardi semplicemente una condanna di tipo civilistico.
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