Gli Stati membri dell’Unione europea sono tenuti a concedere il visto con validità territoriale limitata ai cittadini di Paesi terzi, qualora sussistano ragioni umanitarie, ovvero, se nei Paesi di provenienza vi siano situazioni tali da far ritenere che il rifiuto esporrebbe i richiedenti a trattamenti disumani e degradanti.
E questo non solo in ossequio al Regolamento CE n. 810/2009 (Codice comunitario dei visti), che limita la discrezionalità degli Stati membri nel concedere i visti, ma altresì, in virtù della Carta dei diritti fondamentali Ue – divenuta vincolante con il Trattato di Lisbona – secondo cui nessuno può essere sottoposto a trattamenti disumani e degradanti.
A stabilirlo, l’Avvocato generale della Corte di giustizia Ue - nelle conclusioni depositate il 7 febbraio 2017 in relazione alla causa C – 638/2016 – in una vicenda ove dei cittadini siriani, in fuga da Aleppo, si erano visti respingere dall'autorità belga la richiesta di un visto per ragioni umanitarie.
La Corte di giustizia Ue, nella fattispecie interpellata, ha chiarito come competa ai singoli Stati membri valutare l’esistenza delle suddette ragioni umanitarie. Per cui, nel caso de quo, l’Ufficio stranieri belga avrebbe dovuto tener conto del noto dramma siriano e del rischio di pericoli e sofferenze cui i civili richiedenti sarebbero andati incontro a seguito del rifiuto del visto.
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