Proventi illeciti come redditi diversi: equiparazione costituzionalmente lecita?

Pubblicato il 08 agosto 2010 L’analisi di De Mita tra Fisco e costituzione, offerta dal Sole 24 Ore, tratta stavolta il tema della questione di legittimità sollevata dalla Ctr Toscana, con l’ordinanza del 28 settembre 2009, in merito alla qualificazione ed alla tassabilità dei proventi da fonte illecita.

La questione riguarda la norma dell'articolo 36, comma 34-bis del Dl 223/06 – legge 248/06 – che ritiene che i proventi illeciti, che non rientrano nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6 del Tuir, devono considerarsi redditi diversi e tassati di conseguenza. Ciò contrasta con l'articolo 14, comma 4 della legge 537/93 che prevede la tassabilità dei proventi illeciti solo se ricompresi e classificabili nelle categorie dell'articolo 6 del Tuir. Tuttavia il nodo sta nel fatto che mentre per l'ufficio delle Entrate di Empoli l'articolo 36, comma 34-bis, del Dl 223/06 è norma interpretativa, per il giudice remittente tale norma, sotto le mentite spoglie di una norma interpretativa, di fatto è innovativa, dunque è priva di efficacia retroattiva.

Si aggiunge che la Cassazione ha sempre affermato il carattere di interpretazione autentica dell'articolo 14, comma 4 della legge 537/93 da parte del Dl 223/06. Ma l’autore sottolinea che proprio partendo dalla norma "autenticamente" interpretata, si apprezza il carattere innovativo della disposizione presuntamente interpretativa, in quanto stabilisce l'irrilevanza dell'illiceità rispetto alla natura reddituale di un provento, a condizione che il provento sia qualificabile come reddito.
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