E’ a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelievi ingiustificati dal conto corrente siano stati utilizzati dal professionista o dal piccolo artigiano per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi.
In conseguenza della pronuncia della Corte costituzionale n. 228/2014, infatti, non è più proponibile l’equiparazione logica tra attività d’impresa e attività professionale fatta in precedenza, ai fini della presunzione posta dall’articolo 32 del DPR n. 600/1973, dalla giurisprudenza.
La Consulta, in detta statuizione, ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale del predetto articolo 32, qualificando la presunzione posta da questa disposizione – ai sensi della quale si presume che dai prelevamenti bancari ingiustificati siano desumibili dei ricavi - come lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, “essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.
Così la Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 23162 depositata il 4 ottobre 2017 e con la quale è stato rigettato il ricorso promosso dall’Agenzia delle entrate avverso la decisione della CTR di parziale accoglimento delle ragioni del contribuente, un lavoratore autonomo.
In particolare, i giudici di merito, nell'ambito del giudizio di opposizione ad un avviso di accertamento basato su indagini bancarie in assenza di documentazione contabile, avevano ridotto il maggior reddito accertato in capo al contribuente, ai fini delle imposte Iva Irpef e Irap, escludendo i prelevamenti bancari dai ricavi di esercizio.
E secondo gli Ermellini, l'accertamento di fatto operato, nella specie, dalla Commissione tributaria regionale non era censurabile in sede di legittimità.
Difatti, il contribuente era stato qualificato, in base alle caratteristiche della sua attività, come lavoratore autonomo e pertanto le censure dell’amministrazione finanziaria erano da ritenere infondate alla luce della sentenza della Corte costituzionale sopra richiamata.
Gli effetti della decisione di incostituzionalità, infatti, andavano estesi anche al caso in esame, in quanto – si legge nel testo della sentenza di Cassazione n. 23162/2017- l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituisce principio generale che trova un unico limite nei rapporti esauriti in modo definitivo.
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