Professionista risponde penalmente anche con visto di conformità "leggero"

Pubblicato il 02 agosto 2022

E' penalmente responsabile il professionista che rilascia un mendace visto di conformità, leggero o pesante, o un'infedele asseverazione dei dati.

Ciò in ragione dell'espressa previsione di cui all'art. 39 D. Lgs. n. 241/1997 e del meccanismo del concorso del reato di cui all'art. 110 del Codice penale.

Con la condotta indicata, infatti, egli crea un mezzo fraudolento idoneo ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'Amministrazione finanziaria, indicando in dichiarazione elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi.

Lo ha ribadito la Corte di cassazione con sentenza n. 30329 del 1° agosto 2022 a conferma delle argomentazioni con cui i giudici di primo e secondo grado era giunti ad affermare la penale responsabilità di una commercialista per il reato di cui all'art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).

Questo, nell'ambito di una complessa vicenda penale che vedeva coinvolti più coimputati, accusati di aver posto in essere un'associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di reati tributari.

Nella decisione di merito, era stato correttamente argomentato in ordine agli elementi a sostegno della configurabilità del delitto sopra indicato in capo alla professionista, previa illustrazione della natura del visto di conformità dalla stessa rilasciato alle dichiarazioni Iva, definito "leggero", rilevando che l'apposizione di questo avesse ostacolato l'accertamento fiscale con induzione in errore dell'Amministrazione finanziaria.

Quest'ultima, infatti, aveva presupposto la positiva verifica, da parte della consulente, della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze delle scritture contabili e all'attestazione della congruità dei ricavi o dei compensi dichiarati rispetto a quelli determinabili in base agli studi di settore.

L'apposizione di visto leggero non salva dalle sanzioni penali

Nella decisione, la Suprema corte ha ricordato che il visto di conformità è un controllo attribuito dal legislatore a soggetti estranei all'Amministrazione finanziaria - professionisti iscritti negli appositi albi - per la corretta applicazione delle norme tributarie.

Esso è disciplinato dal Decreto legislativo n. 241/1997 che distingue il visto leggero (art. 35) e il visto pesante (o certificazione tributaria - art. 36).

Orbene, nella vicenda esaminata, il fatto che il visto apposto dall'imputata fosse di tipo leggero non porta ad escludere la sua penale responsabilità.

In tali casi, infatti, l'applicazione del visto implica che il professionista riscontri la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze della relativa documentazione e alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d'imposta, lo scomputo delle ritenute d'acconto, i versamenti. Tali controlli sono volti ad evitare errori materiali e di calcolo nella determinazione di imponibili, imposte e ritenute.

Come già affermato dalla giurisprudenza di Cassazione, in definitiva, il professionista che rilascia un mendace visto di conformità, sia leggero che pesante, o un'infedele asseverazione dei dati, risulta esposto anche a sanzioni penali in concorso con il cliente in quanto crea un mezzo fraudolento, idoneo ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'Amministrazione finanziaria.

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