Processo esecutivo. L'equa riparazione non comprende anche la fase di vendita

Pubblicato il 15 maggio 2015 Con sentenza n. 8540 depositata il 27 aprile 2015, la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ha respinto il ricorso presentato da alcuni soggetti, avverso la pronuncia con cui la Corte d'Appello condannava il Ministero della Giustizia alla corresponsione, in loro favore, dell'equa riparazione per eccessiva durata di una procedura esecutiva a carico dei ricorrenti medesimi.

Lamentavano tuttavia questi ultimi, rivendicando un maggior importo a titolo di equo indennizzo, come la Corte territoriale avesse erroneamente considerato di quattro anni la ragionevole durata del processo de quo (ovvero, fino alla data dell'ordinanza di vendita), ritenendo invece il lasso di tempo successivo non valutabile ai fini dell'equa riparazione, in quanto non ascrivibile all'amministrazione della giustizia, bensì esclusivamente alle condizioni di mercato.

Invero – a detta dei ricorrenti – così argomentando, i giudici di merito sarebbero incorsi in una palese violazione della Legge 81/2001 (c.d. Legge Pinto), posto che il giudice dell'esecuzione va considerato arbitro dell'intera procedura esecutiva e dunque anche della fase di vendita, dovendo egli gestirla in maniera dinamica, in caso, adeguando le sue ordinanze alle predette condizioni di mercato.

Sulla questione la Cassazione – respingendo detta censura – ha osservato che le frazioni processuali non dipendenti nè dal giudice nè dalle parti nè da terzi, ma dal difetto di interesse di quanti potrebbero inserirsi nel processo esecutivo per concorrere al suo scopo, fuoriescono dalla sfera di controllo dell'autorità giudiziaria e non sono dunque computabili ai fini della durata irragionevole, nè valutabili nel più ampio contesto della durata totale.

Per cui la durata standard dell'espropriazione immobiliare – ha concluso la Cassazione – non può includere i tempi tecnici imposti dall'iterazione dei tentativi di vendita andati deserti per mancanza di offerenti, sicché detti esperimenti, se correttamente e tempestivamente effettuati, devono essere sottratti dal tempo complessivo della procedura su cui operare, ex art. 2 Legge Pinto, il giudizio di durata ragionevole.
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