Procedura di ristrutturazione, condannato l’imprenditore che non paga le ritenute previdenziali e assistenziali

Pubblicato il 04 settembre 2018

L’omesso versamento di ritenute da parte di un imprenditore non può trovare giustificazione nell’accordo di ristrutturazione del debito che è stato sottoscritto prima del mancato pagamento all'Inps.

Il manager che non ha versato le ritenute previdenziali e assistenziali all’Istituto previdenziale è perseguito penalmente anche se l'azienda in crisi è stata ammessa ad una procedura di ristrutturazione del debito e deve, quindi, rispettare l'accordo sottoscritto con tutti i creditori.

Lo sancisce la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 39396 del 3 settembre 2018, confermando la decisione della Corte d'appello di Ancona e rendendo definitiva la condanna penale nei confronti di un imprenditore.

Accordo di ristrutturazione precedente al mancato pagamento all’Inps

Secondo la Corte di Cassazione, il fatto che l'accordo di ristrutturazione fosse stato sottoscritto prima del debito con l'Inps aggrava la posizione dell’imprenditore.

Gli Ermellini concordano con i giudici di primo e secondo grado che avevano escluso il rilievo, quale scriminante dell'omissione, dell'intervenuto accordo ai sensi dell'articolo 67 della legge fallimentare. Infatti, secondo la Terza sezione penale della Cassazione, la predisposizione di un piano di risanamento è volta a garantire i terzi che vengono in rapporto con l'imprenditore da azioni revocatorie, ma in nessun caso autorizza a ritenere che lo stesso manager non sia tenuto ad adempiere alle obbligazioni tributarie imposte per legge per il solo fatto di aver predisposto un piano attestato.

Di qui la conclusione della sentenza n. 39396/2018, secondo cui l’imprenditore che non versa le ritenute previdenziali e assistenziali all'Inps non può invocare, a giustificazione della sua omissione, i vincoli posti dall'accordo di ristrutturazione del debito.

Inoltre, aggiunge la Corte, l'impresa resta esente dalla revocatoria fallimentare in relazione agli atti posti in essere in virtù del piano attestato di risanamento, così come definito dall’art. 67, comma 3, lettera d) della legge fallimentare, introdotto dal Dl n. 35 del 14 marzo 2005, conv. dalla legge n. 80/2005 (e successivamente modificato dal Dl n. 83/2012).

Esso prevede espressamente l’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti posti in essere in esecuzione del piano disponendo che “non sono soggetti ad azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità dei piano”.

La ratio dell’istituto è quella di salvaguardare gli atti esecutivi posti in essere all’interno di un attendibile piano di risanamento aziendale, nel caso in cui il programma non raggiunga il successo sperato e si apra il successivo fallimento dell’imprenditore.

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