E’ configurabile il reato di abuso d’ufficio a carico di un tecnico del comune che, per conflitto di interessi, non ha portato avanti la pratica di una concessione edilizia per la realizzazione di strutture turistiche, così danneggiando l’imprenditore privato.
In particolar modo, nell'abuso di ufficio – quale reato proprio che può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle sue funzioni - finisce per risultare sempre manifestata una finalità pubblicistica. E ciò non solo quando tale pubblica finalità sia utilizzata per mascherare il vero, ma diverso, fine di avvantaggiare il privato, ma anche quando il medesimo obiettivo pubblico venga strumentalizzato quale scusante o limite nel mancato riconoscimento delle ragioni o dei diritti del privato, e quindi con l’intenzione di provocare un danno al medesimo privato.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione, terza sezione penale, annullando, ai soli effetti civili, la sentenza di assoluzione del tecnico, con rinvio al giudice d’appello competente.
Nel caso di specie difatti – sentenziano gli ermellini – la Corte territoriale avrebbe omesso di svolgere il giudizio di prevalente finalità, ritenendo che mancassero elementi di prova, in capo all'imputato, sufficienti a dimostrare l’obiettivo di voler danneggiare l’imprenditore offeso.
Parte civile qui ricorrente – conclude la Corte con sentenza n. 31865 del 22 luglio 2016 - ha invero evidenziato l’esistenza, agli atti del processo penale, di elementi di prova relativi all'esistenza di un conflitto di interessi e di un prevalente fine privato nella gestione illegittima dell’iter procedimentale da parte del tecnico imputato.
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