Con l’ordinanza n. 22643 del 9 agosto 2024 la Corte di Cassazione è di nuovo intervenuta sul tema del corretto uso dei permessi mensili concessi al dipendente per l'assistenza a familiari con disabilità gravi ex art. 33, comma 3, della legge n. 104/92.
E lo ha fatto confermando l'illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogato ad un lavoratore che aveva assolto ad alcune attività non strettamente riferibili al familiare disabile.
Secondo gli ermellini, infatti, sebbene sia assodato che l’assistenza al familiare disabile debba essere effettiva, ciò non implica necessariamente una presenza costante e ininterrotta al fianco del familiare.
Ma andiamo con ordine e, prima di analizzare la questione dibattuta, un breve riepilogo sulla normativa relativa ai permessi per assistenza di familiari disabili.
Ai sensi dell’art. 33, delle legge n. 104 del 5 febbraio 1992, i familiari lavoratori di soggetti portatori di handicap grave possono richiedere di fruire di 3 giorni di permesso mensile retribuito al 100% per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, purché non ricoverata a tempo pieno o ricoverata, per le intere 24 ore, presso strutture ospedaliere o similari che assicurano assistenza sanitaria continuativa.
La norma attribuisce il diritto di richiesta dei permessi al coniuge, alla parte di un’unione civile, al convivente di fatto ovvero al parente o affine entro il secondo grado.
Diritto che può peraltro essere attribuito anche ai parenti ed affini fino al terzo grado laddove vi sia la mancanza o il decesso dei genitori, del coniuge o della parte dell’unione civile o del convivente di fatto ovvero qualora tali soggetti abbiano più di 65 anni di età o siano affetti da patologie invalidanti.
NOTA BENE: L’art. 3, comma 1, lett. b), del decreto legislativo n. 105 del 30 giugno 2022 ha eliminato dall’art. 33 della legge n. 104/1992, il principio del referente unico dell’assistenza, in base al quale, ad esclusione dei genitori, non poteva essere riconosciuta a più di un lavoratore dipendente la possibilità di fruire dei giorni di permesso per l’assistenza alla stessa persona in situazione di disabilità grave. Sostanzialmente, dunque, a decorrere dal 13 agosto 2022, più soggetti possono essere dotati del diritto di fruire dei permessi alternativamente per l’assistenza al medesimo soggetto disabile.
Tornando all’oggetto dell’ordinanza n. 22643 del 9 agosto 2024, il caso riguarda un lavoratore accusato di abuso dei permessi concessi ai sensi dell'art. 33 della legge n. 104/1992; nel dettaglio, il lavoratore aveva richiesto e ottenuto permessi retribuiti per assistere il nonno disabile ma, a seguito di un'indagine interna avviata dall’azienda, era emerso che in alcune di queste giornate il lavoratore non avrebbe prestato alcuna assistenza effettiva al proprio familiare, utilizzando invece il tempo dei permessi per svolgere attività personali.
Di fronte a queste evidenze, la società aveva contestato formalmente al lavoratore il presunto abuso dei permessi e proceduto al licenziamento per giusta causa, ritenendo che il comportamento tenuto integrasse una violazione tale da ledere irreparabilmente il rapporto di fiducia tra le parti.
Il lavoratore, opponendosi al licenziamento, ha in seguito impugnato la decisione contestando la legittimità delle accuse mosse dalla società.
In primo grado il Tribunale ha respinto l'opposizione del lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento per giusta causa,
ma la Corte d'Appello di Milano, chiamata a riesaminare il caso, ha emesso sentenza di parziale accoglimento del reclamo presentato dal dipendente.
A seguito della sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Milano, che aveva parzialmente accolto il reclamo del lavoratore, la società ricorrente riteneva che la decisione della Corte d'Appello fosse viziata da errori di diritto e da un'errata valutazione delle prove, con particolare riferimento alla proporzionalità della sanzione del licenziamento rispetto alle condotte addebitate al lavoratore.
Il ricorso in Cassazione si fondava su quattro principali motivi:
Soffermandoci in questa sede sull’ultimo dei motivi del ricorso, la Corte di Cassazione ha chiarito che, sebbene l’assistenza al familiare disabile ex lege n. 104/1992 debba essere effettiva, ciò non implica necessariamente una presenza costante e ininterrotta al fianco del familiare; viene dunque confermato l’orientamento della Corte di Appello di Milano.
Attività come fare la spesa o sbrigare commissioni per conto del disabile possono quindi rientrare tra quelle previste dalla legge se funzionali al benessere della persona assistita.
Sintesi del caso |
Il caso riguarda un lavoratore licenziato per presunto abuso dei permessi retribuiti concessi per l'assistenza di un familiare disabile. La società ha contestato al lavoratore di aver utilizzato i permessi per scopi personali, senza prestare l'assistenza dovuta. |
Questione dibattuta |
La questione principale dibattuta è se il comportamento del lavoratore, che ha utilizzato i permessi retribuiti per attività non direttamente correlate all'assistenza del familiare disabile, configuri un abuso del diritto e giustifichi il licenziamento per giusta causa. |
Soluzione della Corte di Cassazione |
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione della Corte d'Appello. La Corte ha inoltre ribadito che l'assistenza al familiare può includere attività funzionali al suo benessere, non necessariamente legate alla presenza fisica costante. |
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