La Corte Costituzionale, con sentenza n. 213/2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della Legge n. 104 del 5 febbraio 1992, nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.
Infatti tale norma è finalizzata a tutelare la salute psico-fisica della persona portatrice di handicap per cui è irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito non sia incluso il convivente della persona portatrice di handicap grave.
D’altra parte il Giudice delle leggi ha più volte affermato che la distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto coniugale non esclude la comparabilità delle discipline riguardanti aspetti particolari dell’una e dell’altro che possano presentare analogie ai fini del controllo di ragionevolezza a norma dell’art. 3 Cost.
In questo caso l’elemento unificante tra le due situazioni è dato proprio dall’esigenza di tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile grave, nella sua accezione più ampia, collocabile tra i diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost.
D’altra parte, si legge nella sentenza, se così non fosse, il diritto del portatore di handicap di ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita, verrebbe ad essere irragionevolmente compresso, non in ragione di una obiettiva carenza di soggetti portatori di un rapporto qualificato sul piano affettivo, ma in funzione di un dato “normativo” rappresentato dal mero rapporto di parentela o di coniugio.
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