Non è automatica la conferma di misure interdittive a carico del manager accusato di aver dolosamente provocato il default di una società, solo perché attualmente ricopre posizioni di vertice in altre aziende, non sussistendo necessariamente il pericolo che egli possa utilizzare detti ruoli di comando per commettere reati dello stesso genere.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’amministratore di una s.p.a. accusato di aver portato al fallimento della società mediante condotte dolose nel corso di una complessa operazione di fusione. L’amministratore ricorreva, in particolare, avverso la conferma della misura interdittiva, consistente nel divieto di esercitare imprese ed uffici direttivi delle persone giuridiche per la durata di dodici mesi.
La conferma della misura era motivata dal Tribunale del riesame, sul solo pericolo di reiterazione dei reati contestati, insito nell'assegnazione di altri incarichi direttivi in altre società.
Ragione che secondo la Cassazione, con sentenza n. 21418 del 23 maggio 2016, non pare sufficiente a confermare la misura, posto che la sola illustrazione delle cariche attualmente ricoperte dal ricorrente, non dice nulla di specifico in ordine alla concretezza del pericolo che egli le possa utilizzare per commettere reati ai danni dei propri creditori o azionisti. Mentre sarebbe di particolare interesse, piuttosto, conoscere in quali ambiti tali società operino e se la loro gestione sia stata o meno, negli anni, esente da censure.
Per analogo ragionamento, la Suprema Corte, con altra pronuncia depositata il medesimo giorno, ha accolto il ricorso del manager di una società operante nella gestione dei rifiuti, avverso l’ordinanza che confermava a suo carico gli arresti domiciliari, in quanto accusato per turbativa d’asta.
Ed anche qui, la conferma della misura si fondava sul fatto che il dirigente fosse attualmente impiegato in altra azienda che operava nel medesimo settore; il che avrebbe aumentato il rischio di reiterazione delle stesse condotte criminose.
Ma anche in tale occasione, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 21350 del 23 maggio 2016, ribadisce che la sussistenza di un’occasione prossima favorevole alla commissione di reati della stessa specie, non può essere desunta dalla sola circostanza che l’indagato continui a lavorare nello stesso settore. Oltretutto, nel caso di specie, come impiegato, per cui non può essere nemmeno dimostrata la possibilità che egli possa ingerirsi nella gestione della società e creare un sistema illecito analogo a quello per cui è stato accusato.
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