La Corte di cassazione ha confermato la statuizione con cui i giudici di merito avevano condannato un avvocato alla restituzione delle somme percepite per le prestazioni eseguite nei confronti di un cliente, trattandosi di prestazioni rese nel periodo successivo alla scadenza del termine di sei anni dalla sua iscrizione nel registro dei praticanti avvocati.
Nella decisione di secondo grado era stato ricordato, in particolare, come il praticante avvocato, decorsi sei anni dall'iscrizione al relativo registro, perda ex lege l'ammissione al patrocinio, anche in assenza di cancellazione dal registro dei praticanti.
Ne conseguiva, nel caso esaminato, la nullità ex articolo 1418 del Codice civile delle prestazioni effettuate dopo i sei anni, ed il diritto, in capo all’assistito, alla ripetizione delle somme dallo stesso versate quale compenso per le citate prestazioni.
Da qui il ricorso in sede di legittimità del legale, le cui doglianze sono state, tuttavia, ritenute infondate.
Con particolare riferimento alla violazione denunciata dal ricorrente rispetto all'articolo 37 comma 3 del Regio decreto n. 1578/1933 e l’asserita violazione del principio di non applicabilità della legge meno favorevole al reo ai sensi dell’articolo 7 CEDU, nonché del principio di tutela del contraddittorio e di legalità, la Suprema corte ha dapprima ricordato il consolidato indirizzo legittimità, recentemente riconosciuto dalla Corte costituzionale (sentenza n. 193/2016), secondo cui “il principio penalistico della c.d. lex mitior non si applica alle sanzioni amministrative, né tanto meno alle controversie civili”.
Ribadito, a seguire, quanto statuito dalle Sezioni unite di Cassazione nella sentenza n. 17761/08 in tema di pratica forense e con specifico riferimento all’articolo 8 del Regio decreto richiamato.
Gli Ermellini, in proposito, hanno rammentato come una volta decorsi i sei anni, l'iscritto non può più esercitare detto patrocinio, senza però dover subire la cancellazione dal registro anzidetto, in assenza di specifica previsione normativa che la contempli, potendo, quindi, mantenere l'iscrizione per coltivare l'interesse a proseguire la pratica forense non in veste informale, ma con una precisa qualifica ed in un rapporto di giuridica dipendenze con un professionista già abilitato.
In detta situazione – ha precisato la Seconda sezione civile - non appare ravvisabile il dedotto "overruling", atteso che l'indirizzo interpretativo menzionato non ha comportato il mutamento dell'interpretazione di una regola processuale che preveda una preclusione o una decadenza in precedenza non prevista; si tratta, al contrario, di un determinato assetto normativo di carattere sostanziale, avente ad oggetto le condizioni per il legittimo esercizio del patrocinio.
Nel respingere gli ulteriori motivi del ricorso, la Corte di cassazione – ordinanza n. 30057 del 14 dicembre 2017 – ha, in definitiva, ricordato come la cancellazione dal registro né, a fortiori, la mancata comunicazione della stessa, non producano alcun effetto sul venir meno del patrocinio, che discende, ex se, dal decorso del termine di sei anni.
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