Per i soci niente automatismi

Pubblicato il 17 agosto 2006

Il tribunale di Milano con la sentenza del 20 giugno 2006 completa una seria di pronunce circa l’ambito di applicazione della legge Biagi. In questo caso, la questione riguardava un socio lavoratore che ha ritenuto illegittima la qualificazione della propria prestazione lavorativa, come generica collaborazione coordinata e continuativa. Cioè non essendovi stata alcuna formalizzazione del progetto (conseguentemente all’entrata in vigore della legge 30), il lavoratore ha chiesto al tribunale di accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso ai sensi dell’articolo 69 del Dl 276/03. I giudici non hanno trovato d’ostacolo il fatto che il soggetto richiedente fosse anche amministratore della società e operasse in autonomia, ma il rifiuto di riconoscere il carattere automatico della trasformazione del contratto a progetto in contratto di lavoro subordinato 8ai sensi dell’articolo citato) è stato imputato al fatto che è onere dello stesso collaboratore autonomo dimostrare la natura subordinata del proprio rapporto di lavoro, sulla base del principio secondo cui “ogni attività economicamente rilevante può formare oggetto di un contratto di natura autonoma o subordinata”.

 

 

Con riferimento all’attività degli amministratori delle società e all’entità dei compensi dagli stessi percepiti si è espressa anche tributaria provinciale di Siena, seconda sezione, con la sentenza 35 del 17 luglio 2006. I giudici hanno riconosciuto che pur in assenza di una norma specifica che attribuisca al Fisco il potere di valutare il quantum, le prestazioni che costituiscono le componenti attive e passive del reddito, ai fini fiscali, sono sindacabili da parte dell’Amministrazione finanziaria e devono essere rispondenti al normale valore di mercato. Dunque, spetta al contribuente dimostrare le componenti negative di reddito e, quindi, i costi sostenuti e portati in detrazione in dichiarazione. A sua volta, il Fisco può promuovere l’azione di accertamento non per rettificare le entrate dell’impresa, ma per disconoscere alcuni dei costi portati in detrazione dall’imprenditore, quando essi hanno come unico scopo di ridurre il reddito imponibile. 

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