Soccombente non paga l'Iva se dimostra che controparte la recupera

Pubblicato il 05 febbraio 2024

Spetta al soccombente che pretende di non pagare l’Iva sugli onorari dell'avvocato della parte vittoriosa provare la sussistenza di circostanze che escludano, secondo le previsioni del DPR n. 633/1972, la concreta rivalsa e, dunque, la debenza dell’imposta.

Se manca tale prova, la spettanza del rimborso dell’Iva discende dal titolo azionato, vale a dire dalla sentenza di condanna, cosicché il rimborso dell’imposta si atteggia quale onere accessorio degli onorari di difesa, da ricomprendere tra gli oneri processuali dai quali la parte vittoriosa deve essere in ogni caso sollevata.

Onere prova a carico del soccombente

Difatti, solo se il soccombente dimostra o la stessa parte vittoriosa riconosca di essere un soggetto Iva, nel senso che per la sua qualità personale, possa a sua volta rivalersi del tributo in questione attraverso la detrazione di cui all’art. 19 DPR n. 633/1972, questo non rientra più tra le spese rimborsabili ex art. 91 c.p.c.

Ed è a carico del soccombente, come detto, dimostrare che si verte in un'ipotesi in cui la controparte non dovrà sopportare il costo corrispondente: dimostrazione, questa, che non può consistere nella mera affermazione di non debenza dell’imposta.

Sono le puntualizzazioni fornite dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 2818 del 30 gennaio 2024, pronunciata in riferimento ad una causa in cui la parte soccombente di un giudizio civile riteneva di non essere tenuta al rimborso dell'Iva alla parte vittoriosa in assenza di prova che tale somma fosse stata effettivamente pagata dalla controparte al proprio difensore.

Prova, questa, che secondo la ricorrente doveva fornirla la parte vittoriosa medesima, tramite produzione di fattura regolarmente emessa dal proprio difensore.

La Suprema corte non ha condiviso tali conclusioni e, riprendendo i principi già enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che le contestazioni mosse fossero sfornite del necessario supporto probatorio e, pertanto, non potessero ritenersi idonee a superare le argomentazioni che il giudice d’appello aveva posto a fondamento della decisione impugnata.

Parte soccombente, infatti, non aveva assolto l’onere di dimostrare che sussistessero condizioni per effetto delle quali la controparte vittoriosa, pacificamente non titolare di partita Iva, potesse in concreto recuperare l’imposta dovuta al difensore che l'aveva rappresentata in giudizio.

Andava escluso, quindi, che il rimborso di Iva e di Cpa, da parte della soccombente, potesse comportare una "indebita locupletazione" a favore della controparte.

Iva sul compenso del difensore: spetta a parte soccombente

Nella decisione, la Terza sezione civile della Cassazione ha rammentato come la sentenza di condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa costituisca titolo esecutivo, anche per conseguire il rimborso dell’Iva che la medesima parte vittoriosa assuma di avere versato al proprio difensore, in sede di rivalsa e secondo le prescrizione del richiamato DPR n. 633/1972.

Ciò anche in difetto di un’espressa domanda e di una specifica pronuncia in merito.

Si tratta, infatti, di un onere accessorio che, in via generale, consegue al pagamento degli onorari dovuti al difensore.

La condanna al pagamento dell’Iva in aggiunta ad una data somma dovuta dal soccombente per rimborso di diritti e di onorari deve intendersi in ogni caso sottoposta alla condizione della effettiva doverosità di tale prestazione aggiuntiva.

L’obbligazione del soccombente di rimborsare l’Iva al vincitore, infatti, non trova la sua radice nel rapporto tributario, ma la rinviene nell’art. 91 del Codice di procedura civile, che lo obbliga al rimborso dei diritti, degli onorari e delle spese sopportate dal vincitore.

Spese, queste, che, per essere liquidate, debbono essere documentate nella loro effettività o, come per l’Iva, nella loro doverosità per legge.

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