Licenziamento disciplinare dopo tre anni? Tardivo

Pubblicato il 02 febbraio 2022

E' da considerare tardiva la contestazione disciplinare effettuata tre anni dopo l'illecito in assenza di congrue giustificazioni da parte del datore di lavoro: il licenziamento irrogato è illegittimo.

Immediatezza e tempestività della contestazione disciplinare

In tema di licenziamento disciplinare, l'immediatezza del provvedimento espulsivo rispetto alla mancanza addotta a sua giustificazione ovvero a quello della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro.

La non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo, infatti, induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore.

E' poi possibile considerare un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore oppure quando la complessità della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso.

Grava sul datore di lavoro, in tale contesto, l'onere di dimostrare le eventuali ragioni che hanno impedito la tempestiva contestazione del fatto poi addebitato al dipendente.

In ogni caso, è riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il predetto ritardo.

Recesso del datore di lavoro: legittimo se tempestivo

Sulla scorta di tali principi, la Corte di cassazione, con ordinanza n. 2869 del 31 gennaio 2022, ha confermato la decisione con cui, in sede di appello, era stata dichiarata l'illegittimità dei licenziamenti comminati da una Srl a due dipendenti, con contestuale condanna dalla società datrice di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva per ciascuno.

Il giudice di secondo grado aveva escluso che la contestazione, effettuata nel 2016 in relazione a comportamenti pacificamente posti in essere nel 2013, potesse reputarsi tempestiva alla luce delle importanti esigenze difensive che il principio di tempestività mira a tutelare ed in assenza di congrue giustificazioni da parte del datore di lavoro.

Considerazioni, queste, a cui hanno aderito anche gli Ermellini, secondo i quali la Corte d'appello, con motivazione diffusa e coerente, si era compiutamente soffermata sul considerato ritardo, sulle ragioni che lo avevano asseritamente determinato, sulle conseguenze di esso, ritenendo del tutto inadeguata la tesi avanzata dalla società ricorrente per giustificare il differimento.

Quella compiuta, in definitiva, era una valutazione insuscettibile di nuovo esame in sede di legittimità.

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