Legale si presta a operazioni che violano le norme antiriciclaggio? Radiato

Pubblicato il 04 maggio 2018

Il Consiglio nazionale forense ha confermato la sanzione disciplinare della radiazione impartita dal Consiglio Distrettuale di Disciplina territoriale nei confronti di un avvocato.

Il procedimento di disciplina traeva origine da un procedimento penale instaurato a carico del legale, a cui era contestato il reato di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e al riciclaggio.

Addebito disciplinare

All’avvocato era stata contestata, in sede disciplinare, la violazione dei doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza di cui all’articolo 9 del Codice deontologico, nonché, in violazione di specifiche norme del medesimo Codice, di aver prestato la propria attività consapevolmente finalizzata alla realizzazione di operazioni illecite e di aver suggerito comportamenti volti alla conclusione di negozi illeciti e fraudolenti, di aver ricevuto e gestito fondi, anche di provenienza illecita, non riferibili a clienti nonché di aver prestato la propria attività professionale in conflitto di interessi con la parte assistita e non aver conservato la propria indipendenza nell’espletamento degli incarichi; infine, lo stesso era accusato di aver compromesso con il suo comportamento la dignità della professione e l’affidamento dei terzi, nonché di aver tenuto un comportamento scorretto ed irrispettoso nei confronti del personale giudiziario e dei soggetti con i quali si è relazionato.

Il professionista aveva impugnato la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina asserendo che quest’ultimo non avesse operato un’autonoma valutazione della condotta, rispetto alla responsabilità accertata nel procedimento penale, essendosi ancorato al giudicato penale di condanna.

CNF: decisione congrua

Motivo ritenuto infondato dal CNF che, con sentenza n. 1 del 26 febbraio 2018, ha, per contro, ritenuto il percorso motivazionale del CDD del tutto corretto e congruo.

In particolare, il Consiglio nazionale ha ribadito la consolidata giurisprudenza disciplinare, secondo la quale “il giudicato penale non preclude una rinnovata valutazione in sede disciplinare dei fatti accertati penalmente, essendo diversi i presupposti delle rispettive responsabilità e dovendo rimanere fermo il solo limite dell’immutabilità dell’accertamento dei fatti, nella loro materialità, operato dall’autorità giudiziaria”.

Nel caso esaminato, i fatti contestati nei capi di incolpazione erano stati accertati dai giudici penali, con sentenza passata in giudicato. Correttamente, quindi, l’Organo di disciplina li aveva valutati, nella motivazione, in relazione ai precetti deontologici; considerando, così, che i medesimi fossero gravemente rilevanti anche dal punto di vista deontologico ne aveva censurato il disvalore.

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