La valutazione di legittimità del licenziamento irrogato per assenza ingiustificata è alla base di due recenti decisioni della Corte di cassazione.
Nel primo caso, il licenziamento, irrogato nei confronti di una lavoratrice madre, è stato annullato in considerazione del mancato riscontro di una colpa grave in capo alla dipendente e della violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte del datore di lavoro.
Nella seconda vicenda, in cui ad un dipendente era stata contestata un'assenza arbitraria dal servizio superiore a dieci giorni consecutivi, il comminato licenziamento è stato invece confermato.
Con ordinanza n. 22202 del 6 agosto 2024, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha confermato la decisione di illegittimità del licenziamento disciplinare di una dipendente di una cooperativa, motivato da assenza ingiustificata.
La dipendente, in errore circa la data di rientro dal congedo post partum, aveva richiesto ferie e successivamente congedo parentale.
La cooperativa aveva contestato l'assenza solo dopo un certo tempo, inducendo la lavoratrice a ritenere legittima la sua assenza.
Sia il Tribunale che la Corte d'appello avevano dichiarato nullo il licenziamento, poiché la mancanza di comunicazione formale del rifiuto delle ferie e la violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte del datore di lavoro avevano reso il provvedimento illegittimo.
I giudici di merito avevano sottolineato che il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è inoperante solo in presenza di colpa grave.
In questo caso, la colpa grave non era stata riscontrata, poiché l'errore della lavoratrice era giustificabile e influenzato dalla condotta del datore di lavoro.
Assenza di colpa grave
L'assenza della colpa grave era stata confermata dal fatto che la lavoratrice non era rimasta inerte, ma aveva cercato di instaurare un dialogo e aveva seguito le indicazioni del patronato.
La colpa grave, secondo la normativa, deve avere una connotazione di gravità distinta dai generici casi di inadempimento.
La cooperativa, inoltre, non aveva formalmente comunicato il diniego delle ferie richieste, violando i principi di correttezza e buona fede.
Questo comportamento aveva contribuito all'errore della lavoratrice, rendendo illegittimo il licenziamento.
La decisione dei giudici di merito è stata confermata anche dalla Corte di cassazione.
Gli Ermellini hanno riaffermato che l'accertamento della colpa grave è un giudizio di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, se supportato da motivazione logicamente congrua e giuridicamente immune da vizi.
E' stata confermata, in definitiva, l'importanza di una corretta e tempestiva comunicazione tra datore di lavoro e dipendente, specialmente in casi delicati come il rientro da congedi parentali.
Nella specie, la mancanza di colpa grave e la violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte del datore di lavoro sono stati determinanti nella decisione di annullare il licenziamento.
Con ordinanza n. 22004 del 5 agosto 2024, la Corte di cassazione, Sezione lavoro, si è invece occupata della vicenda di un lavoratore, che era stato licenziato per un'assenza ingiustificata che si era protratta per oltre 10 giorni.
Il lavoratore, a fronte della conferma del licenziamento da parte dei giudici di merito, si era rivolto alla Suprema corte di legittimità.
In questa sede, il prestatore, che asseriva di essere stato assente per malattia e di aver tempestivamente comunicato l'assenza e il numero di protocollo del certificato medico, si era difeso sostenendo che le mancanze erano addebitabili ai medici che non avevano provveduto ad inoltrare correttamente e in tempo il certificato medico.
Tuttavia, tali mancanze, attribuite a sanitari non meglio specificati, non erano state constatate dalla Corte territoriale.
I giudici di gravame, infatti, avevano piuttosto accertato che nel sito dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), dedicato al deposito dei certificati medici dei dipendenti, non risultava presente alcun certificato medico relativo alla posizione del ricorrente.
Vi erano sì dei certificati precedenti ma rispetto ai giorni contestati non vi era nessuna certificazione.
Andava escluso, ciò posto, che i documenti prodotti dal ricorrente - peraltro privi di firma e non riscontrati sul sito dell'INPS - fossero idonei a provare alcunché.
La Corte di cassazione, in definitiva, ha rigettato il ricorso del dipendente confermando la legittimità dell'irrogato licenziamento disciplinare.
Sintesi del Caso | Una dipendente di una cooperativa è stata licenziata per assenza ingiustificata dopo il congedo post partum. La dipendente, confusa sulla data di rientro, aveva richiesto ferie e congedo parentale, che non erano stati formalmente negati. |
Questioni Dibattute | La legittimità del licenziamento disciplinare della lavoratrice madre, in assenza di una comunicazione formale del rifiuto delle ferie e con la violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte del datore di lavoro. |
Soluzione della Corte di cassazione | La Corte di Cassazione ha confermato l'illegittimità del licenziamento, affermando che l'assenza di colpa grave e la violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte del datore di lavoro rendevano nullo il provvedimento. |
Sintesi del Caso | Un lavoratore è stato licenziato per un'assenza ingiustificata protrattasi per oltre 10 giorni consecutivi. |
Questioni Dibattute | Se il licenziamento per assenza ingiustificata fosse legittimo, nonostante il lavoratore sostenesse di aver comunicato la malattia. |
Soluzione della Corte di cassazione | La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del dipendente, confermando la legittimità del licenziamento poiché non risultavano certificati medici sul sito dell'INPS per i giorni contestati. |
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