Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente, possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente assuma natura para – familiare, ovvero sia caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, accogliendo il ricorso dei datori di lavoro, condannati nel merito per maltrattamenti in famiglia ai danni di una dipendente.
I ricorrenti, in particolare, titolari di un esercizio commerciale, avevano sottoposto la dipendente, durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, a maltrattamenti consistenti in abituali atti si scherno, disprezzo e vilipendio, riguardanti il suo aspetto fisico e le sue competenze professionali, anche al cospetto dei clienti, così da determinare l’insorgere nella stessa di una patologia psichica.
Nell'accogliere le ragioni dei datori, la Corte Suprema ha nello specifico chiarito che, in riferimento ai rapporti di lavoro, perché ricorra il reato di maltrattamenti in famiglia, occorre che il soggetto agente versi in una posizione di supremazia, che si traduca nell'esercizio di un potere direttivo e disciplinare, tale da rendere specularmente ipotizzabile una soggezione, anche di natura meramente psicologica, del soggetto passivo, riconducibile ad un rapporto di natura para – familiare. Rapporto che può ravvisarsi, ad esempio, tra il collaboratore domestico e le persone della famiglia presso cui presta attività lavorativa o tra il maestro d’arte e l’apprendista.
Al di fuori di queste particolari situazioni di fatto e di diritto, nell’ambito dei rapporti di natura professionale o di lavoro, non ricorre quel nesso di supremazia che abbia esposto la parte offesa a situazioni assimilabili a quelle familiari.
In assenza dei presupposti di configurabilità del delitto oggetto di contestazione, potrebbe essere nella specie riconosciuta – conclude la Corte con sentenza n. 26766 del 28 giugno 2016 – la sussistenza di altri reati a carico degli imputati in ragione dei fatti addebitati, quali quelli di lesione personale, di minaccia, di ingiuria e violenza privata, eventualmente aggravati dall'abuso di relazioni d’ufficio o di prestazioni d’opera (per i quali tuttavia qui manca la querela quale condizione di procedibilità).
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