Cosa accade a seguito della decisione giudiziale che converte retroattivamente un contratto a termine in contratto a tempo indeterminato? Il lavoratore è tenuto a restituire l'indennità di disoccupazione ricevuta?
Quali sono, ossia, i riflessi dell'applicazione della tutela introdotta dall’art. 32 comma 5 della Legge n. 183/2010 per i contratti di cui sia accertata l’illegittimità del termine di durata apposto, sull’indennità Naspi?
Con ordinanza interlocutoria n. 22985 del 21 agosto 2024, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione di tali questioni alla Prima Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Nel caso esaminato, la Cassazione era stata chiamata a pronunciarsi rispetto a una controversia concernente la restituzione dell'indennità di disoccupazione (Naspi) da parte di un lavoratore.
Il dipendente, dopo aver ottenuto la conversione retroattiva di un contratto a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si era visto richiedere dall'INPS la restituzione delle somme percepite a titolo di indennità di disoccupazione.
Il lavoratore, nel dettaglio, aveva percepito la Naspi per un periodo durante il quale non risultava formalmente occupato, successivamente alla scadenza di un contratto a termine.
In seguito, una sentenza del 2014 aveva riconosciuto la natura illegittima del termine apposto al contratto e aveva disposto la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con efficacia retroattiva, condannando il datore di lavoro al risarcimento.
La questione centrale da chiarire era se il lavoratore dovesse restituire o meno la Naspi ricevuta, considerato che la conversione retroattiva del rapporto di lavoro con il riconoscimento di un risarcimento forfettario, ai sensi della Legge n. 183/2010, avrebbe comportato l'annullamento dello stato di disoccupazione all'origine del diritto all'indennità.
Secondo l'indirizzo dominante, confermato da precedenti sentenze della Cassazione, quando un lavoratore ottiene la conversione del contratto a termine con effetto retroattivo e un risarcimento forfettario, viene meno lo stato di disoccupazione giustificativo della Naspi.
Pertanto, l'indennità percepita è considerata un indebito previdenziale e deve essere restituita.
La Sezione Lavoro della Cassazione, riconosciuta, sul punto, l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale latente e considerati i cambiamenti normativi recenti, ha ritenuto che il tema meritasse una revisione generale.
In particolare, ha sollecitato una riflessione sul fatto che lo stato di disoccupazione involontaria, che giustifica l'erogazione della Naspi, potrebbe non venire meno automaticamente con la retroattiva conversione del contratto.
La Sezione Lavoro, in altri termini, ha chiesto che le Sezioni Unite esaminino l'opportunità di stabilire un nuovo indirizzo giurisprudenziale che impedisca la richiesta di restituzione della Naspi nei casi in cui i lavoratori, sebbene abbiano ottenuto la conversione del contratto, abbiano effettivamente vissuto un periodo di disoccupazione involontaria.
La Corte di Cassazione, in definitiva, ha deciso di rimettere la questione alle Sezioni Unite, non solo per risolvere il contrasto giurisprudenziale, ma anche per valutare la possibilità di stabilire un nuovo orientamento che tenga conto delle implicazioni socio-economiche legate alla disoccupazione involontaria e alla tutela previdenziale dei lavoratori.
Sintesi del caso | Un lavoratore, dopo aver ottenuto la conversione retroattiva di un contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, si è visto richiedere dall'INPS la restituzione della Naspi percepita durante il periodo di presunta disoccupazione. |
Questione dibattuta | Se il lavoratore debba restituire la Naspi ricevuta, considerata la conversione retroattiva del contratto a tempo determinato. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte di Cassazione, rilevando un contrasto giurisprudenziale e considerati i recenti cambiamenti normativi, ha deciso di rimettere la questione alle Sezioni Unite. |
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