Deve essere riconosciuto l’indennizzo Inail al lavoratore che si infortuna andando a lavoro in bicicletta se “la deambulazione sia motivo di pena ed eccesso di fatica”. In tale circostanza l'uso della bici, quale mezzo privato per recarsi sul posto di lavoro, è “necessitato”.
Si ricorda che, successivamente alla data dei fatti, l'art. 5, comma 5, della legge n. 221/2015 ha sancito che l'uso della bicicletta è da intendersi sempre necessitato “per i positivi riflessi ambientali”.
Dunque, la Corte di Cassazione – sentenza n. 21516 del 31 agosto 2018 – accoglie il ricorso di un lavoratore avverso la sentenza della Corte di Appello, che aveva respinto la richiesta dello stesso di condannare l'Inail a riconoscergli l'indennizzo per una menomazione da infortunio. Secondo la Corte d'Appello, l'uso della bici, quale mezzo privato per recarsi sul posto di lavoro, non era “necessitato” (condizione questa fondamentale affinché sia possibile il riconoscimento della tutela Inail, in caso di utilizzo di mezzi non pubblici).
L'articolo 12 del Dlgs n. 38/2000 prevede che l'Inail tuteli i lavoratori per gli infortuni avvenuti durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l'abitazione ed il luogo di lavoro e anche nel caso in cui il lavoratore debba recarsi da un luogo di lavoro ad un altro (in caso di rapporti di lavoro plurimi), oppure durante il tragitto abituale per la consumazione dei pasti, se non esiste una mensa aziendale.
Tuttavia, il tragitto effettuato con uso di un mezzo privato è coperto dalla tutela dell'Inail solo e soltanto se tale uso è “necessitato”, mentre è prevista l'esclusione della tutela in “caso d'interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate” (quelle non dovute a cause di forza maggiore, di esigenze essenziali e improrogabili o dall'adempimento di obblighi penalmente rilevanti).
Con la sentenza n. 21516/2018, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata in quanto ha ritenuto che la Corte d’Appello non abbia adeguatamente interpretato la nozione di “utilizzo necessitato”, che avrebbe spinto il lavoratore ad avvalersi della bicicletta.
I Giudici di merito, infatti, hanno escluso la necessità dell’uso del mezzo privato sulla base di una qualificazione non troppo chiara.
Secondo la Cassazione, invece, l’uso della bicicletta per ragioni di impedimento devono essere accolte non solo nelle situazioni in cui “l’impossibilità sia assoluta” ma anche – per motivi di tutela della dignità e salute della persona – quando “la deambulazione sia motivo di pena ed eccesso di fatica”.
A ciò si deve poi aggiungere che – conclude la Corte – l’uso della bicicletta per il tragitto casa-lavoro è stato recentemente valutato anche in relazione al costume sociale, tanto che l’uso del velocipide, come definito dall'art. 5, comma 5, della legge n. 221/2015, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato.
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