Il tema dell’inerenza tra costi ed attività dell’impresa è al centro dell’ordinanza n. 18391 del 9 luglio 2019 della Corte di cassazione.
Una società ha presentato ricorso contro la pronuncia della Ctr che ha contestato l’inerenza dei costi di provvigioni erogate dalla stessa, ritenendo che la deducibilità di un costo è legata al ricavo che ne consegue.
Dell’inerenza va data prova, da parte del contribuente, attraverso la documentazione circa l’imponibile maturato: esistenza e natura del costo, fatti giustificativi e destinazione di essi alla produzione.
In caso di beni “normalmente necessari e strumentali” l’onere della prova è semplificato al massimo in quanto risulta evidente la correlazione tra spesa ed attività d’impresa. L’onere diventa più gravoso quando l’operazione economica posta in essere è complessa od atipica rispetto alle normali modalità di attività d’impresa.
Quando l’Amministrazione finanziaria ritiene che gli elementi rappresentati dal contribuente siano mancanti, insufficienti o inadeguati ovvero riscontri altre circostanze di fatto che inficino l’inerenza del costo alla determinazione del reddito, può contestare tale inerenza.
In tema di imposte dirette, l'amministrazione finanziaria che nega l'inerenza di un costo per i motivi suddetti, può contestare l'incongruità e l'antieconomicità della spesa.
Nel caso sottoposto alla Corte, è stata giustamente ritenuta dai giudici di merito l’inesistenza dell’inerenza e della deducibilità dei costi, art. 109 del Tuir, nella semplice esibizione delle fatture rilasciate dai genitori soci fondatori non accompagnate dalla documentazione a riprova del rapporto esistente tra gli stessi e la società.
Inoltre, non sono stati forniti né contratti di collaborazione con i parenti, né contratti di subagenzia a giustificazione dei compensi corrisposti mensilmente.
Quindi, la fattispecie risulta estranea all’art. 109 Tuir, per il quale sono deducibili le spese se e nella misura in cui si riferiscono a ricavi che concorrono a formare il reddito.
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