Impugnazione riconoscimento. Verità biologica, nell'interesse del minore

Pubblicato il 19 dicembre 2017

La Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c., sollevata dalla Corte d’appello di Milano, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117 Cost. ed all’art. 8 Cedu. La norma, in particolare, veniva censurata nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità, possa essere accolta solo quando sia rispondente all’interesse dello stesso.

La vicenda sottoposta alla Corte rimettente, trae origine dalla trascrizione di un certificato di nascita formato all’estero, relativo alla nascita di un bambino riconosciuto come figlio naturale di una coppia di cittadini italiani, i quali – a seguito di indagini avviate dalla Procura presso il Tribunale dei minorenni – ammettevano di aver fatto ricorso alla surrogazione di maternità, realizzata attraverso ovodonazione. Da qui, lo stesso Tribunale per i minorenni autorizzava l’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale, da parte di uno dei due “genitori”, nominando a tal fine un curatore speciale del minore.

Accertamento della verità biologica, non sempre prevale

Circa la questione di legittimità sollevata, la Consulta puntualizza che pur dovendosi riconoscere, nel nostro ordinamento, un accentuato favore per la conformità dello status alla realtà della procreazione, va tuttavia escluso che l’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento. Ed invero, l’attuale quadro normativo, sia interno che internazionale, non impone affatto, nelle azioni volte alla rimozione dello status filiationi, l’assoluta prevalenza di tale accertamento (della verità) su tutti gli altri interessi coinvolti.

Da bilanciare con l’interesse del minore

In altri termini, in tutti i casi in cui sia possibile una divergenza tra identità genetica e identità legale, la necessità del bilanciamento tra esigenze di accertamento della verità ed interesse concreto del minore, è resa trasparente dall’evoluzione ordinamentale intervenuta e si proietta anche sull’interpretazione delle disposizioni da applicare al caso in esame. Basti pensare, ad esempio, che attraverso i recenti interventi normativi (art. 28 D.Lgs. n. 154/2013, che ha modificato lo stesso art. 263 c.c.), il legislatore ha inteso garantire, senza limiti di tempo, l’interesse primario ed inviolabile dei figli all’accertamento della propria identità e discendenza biologica. Per converso, ha previsto termini di decadenza per gli altri legittimati ed ha in tal modo circoscritto entro rigorosi limiti temporali l’esperibilità delle azioni demolitorie dello status filiationis, assicurando così tutela al diritto del figlio alla stabilità dello status acquisito.

Identità del minore: verità biologica, concorre insieme ad altre componenti 

Anche la giurisprudenza, pur affermando il particolare valore della verità biologica, non manca di sottolineare la possibilità di valutare l’interesse del minore nell’ambito delle azioni demolitorie del rapporto di filiazione. E’ stato difatti sostenuto che la verità biologica della procreazione costituisce una componente senz’altro essenziale dell’identità personale del minore, la quale tuttavia concorre insieme ad altre componenti a definirne il contenuto.

Orbene – conclude la Corte Costituzionale con sentenza n. 267 del 18 dicembre 2017– costituisce delicato compito del giudice verificare se la modifica dello status del minore risponda effettivamente al suo interesse e non sia per lui di pregiudizio; così come, contemporaneamente, occorre verificare, pur per sommaria delibazione, la verosomiglianza del preteso rapporto di filiazione, dovendosi garantire il diritto del minore alla propria identità.

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