Deve essere qualificata come domanda di declaratoria di risoluzione di un contratto preliminare (e non di recesso), quella volta a conseguire, oltre alla risoluzione del contratto per grave inadempimento del promissario acquirente, la condanna al risarcimento di ulteriori danni, sia pure da liquidarsi in separata sede.
La parte non inadempiente di un contratto preliminare, infatti, anziché esercitare il recesso, può chiedere la risoluzione del contratto e l’integrale risarcimento del danno sofferto in base alle regole generali, e cioè sul presupposto di un inadempimento imputabile e di non scarsa importanza. Nel qual caso non può incamerare la caparra, essendole solo consentito di trattenerla a garanzia della pretesa risarcitoria o in acconto di quanto le spetta a titolo di anticipo dei danni che saranno in seguito accertati e liquidati.
In siffatta evenienza, la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa di corresponsione, giacché in detta ipotesi la caparra perde la sua indicata funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto, e la parte che allega di aver subito il danno, oltre alla restituzione di quanto prestato in relazione alla esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento integrale del danno subito, se e nei limiti in cui riesce a provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina di cui all’art. 1453 c.c. e ss.
E’ tutto quanto si legge nella sentenza n. 20957 resa dalla Corte di Cassazione, seconda sezione civile, l’8 settembre 2017.
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