Nel processo amministrativo l’attuale vigente codice di rito espressamente ammette i motivi aggiunti in grado di appello, al solo fine di dedurre ulteriori vizi degli atti già censurati in primo grado - evenienza nella quale non ci si trova tanto in presenza di una domanda nuova quanto di un’articolazione della domanda già proposta al Tar – e non anche nella diversa ipotesi in cui con essi si intenda impugnare nuovi atti sopravvenuti alla sentenza di prime cure.
E questa fondamentale regola vale anche per le impugnative degli atti nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici, ove l’art. 120 comma 7 c.p.a. (nella formulazione anteriore al D.Lgs. n. 50/2016) prevede che “i nuovi atti attinenti alla medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti” solo con riferimento al primo grado di giudizio. Non già per il grado di appello, per l’ovvia ragione che, in virtù del principio generale di cui all'art. 104 comma 3 c.p.a. non è possibile impugnare con motivi aggiunti un atto sopravvenuto alla sentenza già gravata né, a fortiori, è possibile impugnare la sentenza di prime cure che si sia pronunciata sulla legittimità dell’atto di gara sopravvenuto alla prima sentenza.
E' quanto si legge nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1633 pubblicata il 7 aprile 2017.
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