Ai fini dell’applicazione del regime degli impatriati, non è possibile sommare il periodo di studio con quello di lavoro per il raggiungimento del requisito dei 24 mesi fuori dall’Italia.
La precisazione è contenuta nel principio di diritto n. 4 del 14 febbraio 2020 fornito dall’Agenzia delle Entrate.
Il regime speciale per gli impatriati è stato introdotto per agevolare il trasferimento in Italia di lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni; è applicabile per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi.
Per il periodo d’imposta 2019 occorre fare riferimento all’articolo 16, Dlgs. n. 147/2015, ai sensi del quale, se vi sono le condizioni richieste, i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento.
Beneficiari dell’agevolazione sono i cittadini dell'Unione europea o di uno Stato extraUe con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale.
Viene richiesto di:
ovvero
Nel principio di diritto n. 4/2020 si precisa che il requisito del raggiungimento dei 24 mesi fuori dall’Italia non si ottiene cumulando il periodo di studio con quello di lavoro, in quanto è necessario, in base alla norma, che l’attività lavorativa ovvero quella di studio abbiano avuto una durata di almeno 24 mesi.
Inoltre, con precedente circolare n. 17/E/2017, con riferimento all’attività di studio, è stato specificato che si ritiene soddisfatto il requisito dello svolgimento negli ultimi ventiquattro mesi qualora il soggetto abbia conseguito la laurea o altro titolo accademico post lauream aventi la durata di almeno due anni accademici.
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