Illegittime le sanzioni civili legate alla maxisanzione dal 2006 al 2010
Pubblicato il 18 novembre 2014
La
maxisanzione per il lavoro nero in vigore
dal 12 agosto 2006 al 23 novembre 2010 prevedeva che, in caso di impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, il datore di lavoro fosse punito con la sanzione amministrativa da € 1.500 a € 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di € 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo.
Inoltre, l'importo delle
sanzioni civili connesse all'omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore in nero
non poteva essere inferiore a € 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata.
La Corte Costituzionale, con
sentenza n. 254/2014, depositata il 13 novembre 2014, ha dichiarato l’
illegittimità costituzionale dell’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del D.L.
4 luglio 2006, n. 223 – convertito dalla Legge n. 248/2006 - nella parte in cui stabiliva che «L’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata», a causa della irragionevolezza, in evidente contrasto con l’art. 3 Cost.
Per il Giudice delle Leggi, la norma censurata, nel modificare il sistema di quantificazione delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e dei premi, ha introdotto una
soglia minima, riferita a ciascun lavoratore e indipendente dalla durata della prestazione lavorativa accertata, facendo sì che la sanzione potesse risultare del tutto
sproporzionata rispetto alla gravità dell’inadempimento del datore di lavoro e incoerente con la sua natura.
In altri termini, poiché le sanzioni civili connesse all’omesso versamento di contributi e premi hanno una funzione essenzialmente risarcitoria, essendo volte a quantificare, in via preventiva e forfettaria, il danno subito dall’ente previdenziale, la previsione di una soglia minima
disancorata dalla durata della prestazione lavorativa accertata, dalla quale dipende l’entità dell’inadempimento contributivo e del relativo danno, è irragionevole.
In tal modo, continua la Corte, la sanzione risulta arbitraria e illogica perché, pur avendo la funzione di «risarcire, in misura predeterminata dalla legge, con una presunzione “iuris et de iure”, il danno cagionato all’Istituto assicuratore», è stabilita con un criterio privo di riferimento all’entità di tale danno, dipendente dalla durata del periodo in cui i rapporti di lavoro in questione si sono protratti.