Il lavoratore non può chiedere all'INPS la regolarizzazione della posizione contributiva

Pubblicato il 16 marzo 2021

Il lavoratore non può adire il giudice per richiedere la condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi ovvero la condanna dell'ente previdenziale alla regolarizzazione della posizione contributiva.

Nel caso, affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 10 marzo 2021, n. 6722, il lavoratore ricorrente lamentava l'impossibilità di richiedere all'Istituto Previdenziale la regolarizzazione della sua posizione contributiva, nonostante il medesimo, a seguito di pronuncia di reintegra e conseguente condanna del datore di lavoro al versamento della contribuzione previdenziale, avesse provveduto a dare comunicazione dell'omissione contributiva al competente ente previdenziale che non ha provveduto a conseguire il recupero dei contributi omessi entro i termini prescrizionali. Altresì, il ricorrente sosteneva, richiamando il principio affermato dalla medesima Corte nella sentenza n. 7459/2002, che ove fosse preclusa la costituzione di rendita ex art. 13, L. n. 1338/1962 o l'azione di risarcimento danni ex art. 2116, Cod. Civ. nei confronti di un soggetto estinto, lo stesso ente di previdenza fosse tenuto a provvedere alla regolarizzazione della posizione contributiva del lavoratore medesimo.

Secondo la ricostruzione affermata dai giudici di legittimità, l'obbligo contributivo derivante dagli effetti di un giudizio di reintegra costituisce fattispecie eccezionale di condanna a favore di terzo e non richiede alcuna specifica domanda del lavoratore o che vi sia una partecipazione dell'ente al giudizio. In tal senso, i contributi previdenziali obbligatori hanno natura di obbligazioni pubbliche, equiparabili a quelle tributarie a causa dell'origine legale e della loro destinazione a beneficio di enti pubblici per l'espletamento delle loro funzioni sociali. Da ciò, ne deriva che il rapporto contributivo è autonomo e distinto rispetto a quello previdenziale e che è da escludersi che il lavoratore possa sostituirsi all'ente di previdenza per ottenere il versamento dei contributi medesimi.

Pertanto, nel nostro ordinamento non è prevista un'azione dell'assicurato volta a condannare l'ente previdenziale alla regolarizzazione della sua posizione contributiva, ancorché quest'ultimo sia stato portato a conoscenza dell'inadempimento contributivo prima del termine prescrizionale, che non si sia tempestivamente attivato per l'adempimento nei confronti del datore di lavoro, residuando unicamente il rimedio risarcitorio previsto dall'art. 2116, Codice Civile ovvero la facoltà di richiedere la costituzione di una rendita vitalizia ai sensi dell'art. 13, L. n. 1338/1962.

Infine, i giudici di Piazza Cavour, rammentano che, anche a seguito dell'estinzione delle società coobbligate al pagamento della predetta contribuzione previdenziale, non viene meno il rapporto giuridico facente capo alla società estinta che si trasferisce ai soci i quali rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione. In tal senso, potranno ammettersi azioni risarcitorie esperite ai sensi dei predetti artt. 2116 e 13, L. n. 1338/1962, direttamente nei confronti dei soci delle società estinte.

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