Il Garante per la Protezione dei Dati personali rappresenta al Parlamento ed al Governo le criticità rappresentante dagli emendamenti alla conversione del decreto legge 21 settembre 2021, n. 127, relativi alla possibilità di consegna della certificazione verde Covid-19 dei lavoratori del settore pubblico e privato al proprio datore di lavoro, con conseguente esenzione dai controlli per tutta la durata della validità della certificazione stessa.
In primo luogo, l’Autorità Garante evidenzia che la prevista esenzione dai controlli, oltreché rappresentare una possibile elusione delle finalità di sanità pubblica sottese al sistema del green pass (non si terrebbe, infatti traccia, di eventuali condizioni di positività sopravvenute in capo all’intestatario del certificato), può dirsi non del tutto proporzionata al pieno rispetto delle finalità di sanità pubblica perseguite.
Invero, atteso che l’esenzione dai controlli renderebbe vana la possibilità di accertare l’eventuale positività sopravvenuta dell’intestatario del green pass, le modifiche apportate contrasterebbero con il Considerando 48 del Regolamento 2021/953, a mente del quale il certificato utilizzato per scopi non medici non può essere conservato.
Il predetto divieto garantisce non solo la riservatezza dei dati sulla condizione clinica del soggetto, ma anche le scelte da ciascuno compiute in ordine alla profilassi vaccinale. Dalla data di scadenza della certificazione, infatti, è agevolmente desumibile quale sia il presupposto per il rilascio della stessa, sicché deve intendersi violato il diritto alla riservatezza del singolo soggetto.
Pregiudizio aggravato, altresì, dal contesto lavorativo in cui lo stesso maturerebbe.
Certamente, l’eventuale consenso prestato dal lavoratore, anche implicito, alla consegna della certificazione verde Covid-19 è viziato dall’asimmetria tipica del rapporto lavorativo stesso, talché la base giuridica del trattamento non può assumere una condizione di liceità.
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