Gratuito patrocinio e reati di mafia: sì della Consulta alla prova contraria sul reddito

Pubblicato il 18 aprile 2010
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 139 del 16 aprile 2010, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 76, comma 4-bis, del Decreto della Presidenza della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115  -Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - nella parte in cui, stabilendo che per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per mafia o per associazioni finalizzate al narcotraffico il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti per l'ammissione al patrocino a spese dello stato, non ammette la prova contraria.

Secondo la Consulta, la presunzione legale che mette tutti i partecipanti all'associazione mafiosa sullo stesso piano non è conforme alla Carta fondamentale. In primo luogo, infatti, l'indistinta assimilazione di capi e gregari delle associazioni criminali comporterebbe l'applicazione di “una misura eguale a situazioni che possono essere – e sono, nell’esperienza concreta – fortemente differenziate”, così che, pur potendosi agevolmente ipotizzare casi di “non abbienza” per i semplici partecipi delle organizzazioni criminali, “questi ultimi subiscono lo stesso trattamento dei loro capi, che dalle attività delittuose hanno tratto ingenti profitti, tali da assicurare disponibilità finanziarie per un più lungo periodo”. In secondo luogo - continua la Corte - la presunzione in esame, estesa a tutti reati e senza limite di tempo, impedirebbe “che si possa tener conto di un eventuale percorso di emancipazione dai vincoli dell’organizzazione criminale, perfino nell’ipotesi in cui il soggetto sia imputato di un reato, anche colposo, che nulla abbia a che fare con la criminalità organizzata”. Deve essere consentito- conclude la Corte - che i soggetti già condannati in un processo per mafia o per associazioni finalizzate al narcotraffico possano, in un successivo procedimento, accedere al gratuito patrocinio qualora dimostrino un basso livello di reddito.

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, si dice rammaricato per questa decisione: con nota del 17 aprile, lo stesso sottolinea come “l’avere introdotto l’ammissibilità della prova contraria rischia di intasare non poco la gestione dei processi di mafia”.
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