Fondazione Studi, attenzione all'aspettativa non retribuita

Pubblicato il 07 agosto 2020

Nel periodo di crisi economica, derivante dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, la significativa riduzione dell’attività lavorativa, spesso affiancata dall’impossibilità di fare ricorso alle ormai esaurite misure di sostegno al reddito come anche agli ammortizzatori sociali, siano essi emergenziali o ordinari, rende sempre più complessa la gestione dei rapporti di lavoro dipendente. La situazione appare, altresì, aggravata dal blocco incondizionato dei licenziamenti imposto dal Governo e dalla proroga automatica dei contratti a tempo determinato per periodi di tempo uguali a quelli in cui si è verificata la sospensione dell’attività lavorativa.

Come evidenziato dall'approfondimento del 6 agosto 2020 della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, una delle soluzioni proposte con più frequenza è quella del ricorso al collocamento dei lavoratori in aspettativa non retribuita a seguito di decisione discrezionale ed unilaterale del datore di lavoro. La fattispecie affrontata, merita indubbie riflessioni al riguardo.

In particolare, il ricorso all'aspettativa non retribuita, salvo i casi in cui la sospensione dell'attività lavorativa sia collegata a restrizioni o provvedimenti amministrativi, non può, certamente, ricondursi al concetto di “impossibilità sopravvenuta”, difatti, la contrazione dell’attività produttiva non scaturisce da un elemento eccezionale, imprevedibile ed individuato, ma alle generali circostanze in cui versa attualmente il mercato.

Invero, atteso che, nella situazione attuale, sussiste l'obbligazione offerta dal prestatore di lavoro, senza che ve ne sia l'esigenza, a causa di una riduzione dell'attività lavorativa, permane l'obbligo retributivo tipico della speciale natura dei rapporti di lavoro subordinato.

Peraltro, come noto, la possibilità di richiedere un periodo di astensione dalla prestazione lavorativa è facoltà attribuita al lavoratore, riconosciuta dalla legge o dalla contrattazione collettiva, e percorribile per determinate e specifiche circostanze. Non può, dunque, ritenersi idonea tale soluzione alla sospensione del sinallagma contrattuale del rapporto di lavoro. 

Al datore di lavoro non resterà, dunque, che tentare una “moral suasion” nei confronti del dipendente, con la consapevolezza che il diritto all'aspettativa non retribuita appartiene esclusivamente al prestatore di lavoro subordinato, anche quando tale opzione parrebbe giustificata da note esigenze di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa.

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