La Corte di Cassazione, seconda sezione civile, ha confermato la condanna di una donna, al termine di una lunga convivenza more uxorio, alla restituzione degli arredi ed oggetti personali dell’ex compagno, che erano rimasti nella casa familiare dopo che quest’ultimo se ne era allontanato.
Nel caso di specie difatti, la Corte di merito aveva correttamente ritenuto provata – secondo valutazione in tale sede insindacabile – la titolarità dei beni in capo all'uomo, in base alle dichiarazioni dei testi ed all'interrogatorio formale della stessa donna, che si era altresì rifiutata di prestare giuramento suppletorio, deferitole proprio al fine di specificare la titolarità dei beni chiesti in restituzione.
In senso contrario, non poteva dirsi rilevante - sempre secondo i giudici di merito - il fatto che la casa familiare fosse stata assegnata alla signora in quanto affidataria dei figli, atteso che il giudice della separazione si era limitato a disporre l’assegnazione dei beni strettamente connessi alla necessità dei minori.
Argomentazioni, queste, in toto condivise dalla Corte Suprema, secondo cui va oltretutto respinta la denunciata violazione delle norme in materia di comunione dei beni, la cui disciplina non può qui trovare applicazione, in assenza di allegazione di titolo negoziale.
La convivenza more uxorio determina difatti – conclude la seconda sezione civile con sentenza n. 4685 del 23 febbraio 2017 – sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita comune, un potere di fatto basato sull'interesse del convivente, che assume i connotati tipici della detenzione qualificata.
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