False fatture E' reato anche con minaccia

Pubblicato il 15 novembre 2016

La Corte di Cassazione, terza sezione penale, ha confermato la condanna di un imputato ex art. 8 D.Lgs. 74/2000, per aver emesso, in qualità di amministratore di diritto di una s.r.l., diverse fatture per operazioni inesistenti.

Ed a nulla è valsa la giustificazione addotta dall'imputato, di aver subito vessazioni e soprusi da parte dell’amministratore di fatto e di essere stato costretto a firmare le fatture, pena la minaccia del licenziamento.

Secondo la Corte Suprema infatti, assumendo il ricorrente la non addebitabilità delle condotte ascrittegli in quanto sostanzialmente commesse sotto costrizioni, non ha preso nella dovuta considerazione l’idoneità delle minacce ricevute a determinare in termini assolutamente cogenti il comportamento penalmente illecito di emissione, materialmente posto in essere dal medesimo imputato.

La Corte territoriale ha difatti correttamente evidenziato che la durata, per nulla breve, del periodo di esercizio delle funzioni di amministratore di diritto (e firmatario delle fatture) e la mancanza, in detto periodo, di condotte volte a denunciare l’amministratore di fatto o a trovare un’altra attività, non possono esimere il ricorrente delle responsabilità per il reato ascrittogli.

Stato di necessità non provato

Ricorda in proposito il Supremo Collegio – con sentenza n. 47972 del 14 novembre 2016 – che in tema di stato di necessità ex art. 54 c.p., l’imputato ha un onere di allegazione avente ad oggetto tutti gli estremi della causa di esenzione, sì che egli deve allegare di aver agito per insuperabile stato di costrizione, sotto minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile e di non aver potuto sottrarsi, nemmeno putativamente, al pericolo minacciato.

Ne consegue, nel caso de quo, che il difetto di allegazione nei termini sopra enunciati, esclude l’operatività dell’esimente in questione. 

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