Fallimento. Curatore tenuto alla dichiarazione dei redditi e Iva

Pubblicato il 03 marzo 2021

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso promosso dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione con cui i giudici di secondo grado avevano dichiarato l’illegittimità di un avviso di accertamento emesso a seguito dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte di una Srl fallita.

La società contribuente aveva impugnato l’atto impositivo davanti alla CTP, dove aveva negato la sussistenza di un obbligo, per il curatore fallimentare, di presentare la dichiarazione per il periodo antecedente la declaratoria di fallimento, asserendo l’esistenza di un vuoto normativo su chi fosse tenuto a questo adempimento.

Il ricorso, rigettato dalla Commissione tributaria di primo grado, aveva successivamente trovato favorevole apprezzamento davanti alla CTR.

L’Amministrazione finanziaria si era quindi rivolta alla Suprema corte censurando, tra gli altri motivi, la statuizione con cui si negava che il curatore fosse obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi per il periodo di imposta anteriore al fallimento.

Doglianza, questa, giudicata fondata dalla Corte di cassazione, per come si apprende dalla lettura dell'ordinanza n. 5623 del 2 marzo 2021.

Obbligo di dichiarazione in capo al curatore del fallimento

Gli Ermellini hanno infatti ritenuto che il motivo del ricorso del Fisco meritasse accoglimento sia per quanto attiene la dichiarazione IVA, esistendo una precisa disposizione normativa impositiva dell'obbligo in capo al curatore ove il fallimento si sia aperto prima della scadenza del termine, sia per quanto concerne le imposte dirette, in ragione di una lettura sistematica e costituzionalmente adeguata dell'ordinamento.

In questo senso – si legge nella decisione - l'art. 1 del DPR n. 600/1973 pone il dovere di dichiarazione in capo alla generalità dei soggetti passivi, anche di coloro che non abbiano prodotto reddito in quell'anno di imposta.

Con particolare riferimento alle persone giuridiche, poi, il dovere si intende in capo al legale rappresentante e, in caso di fallimento, in capo al curatore che ne prende la guida al momento di pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento.

Secondo gli Ermellini, infatti, non vi può essere soluzione di continuità nella conduzione d'impresa, almeno a fini fiscali, sicché il curatore si trova nella posizione di potere/dovere propria dell'imprenditore, “seppur senza l'alea che quello caratterizza, bensì con i limiti propri che la legge prevede a garanzia dei creditori, tra cui quel creditore privilegiato che è lo Stato”.

Così, se all'imprenditore fallito non può essere imputata la mancata esposizione dei redditi prima della sua scadenza, al contrario, al curatore compete presentare la dichiarazione la cui scadenza sia successiva alla sua nomina nell'ufficio.

Nella vicenda di specie, il fallito non era più in bonis dal 20 luglio 2011 e da quel giorno era in carica il curatore, cui spettava anche l'assolvimento degli obblighi tributari della società, in primo luogo la dichiarazione dei redditi per l'anno 2010, da presentarsi entro il 30 settembre 2011.

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