E’ il giudice dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore l’organo competente all’apertura della procedura di insolvenza.
E per le società, in particolare, si presume che il centro di interessi coincida, fino a prova contraria, con il luogo in cui si trova la sede statutaria.
Conseguentemente, in ipotesi in cui risulti una discrepanza tra sede leale e sede effettiva, è l’ubicazione di quest’ultima a dover prevalere e a costituire il criterio determinante della giurisdizione.
In detto contesto, spetta ai creditori l’onere di dimostrare fatti idonei a superare la presunzione di coincidenza tra sede statutaria ed effettivo centro di interessi.
E’ comunque anche consentito che sia il giudice, ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, c.p.c., in sede di procedimento prefallimentare, a desumere argomenti di prova dal contegno delle parti nel processo, al fine di vincere la presunzione citata.
Questi principi sono stati da ultimo ribaditi dalla Corte di cassazione, Sezioni unite civili, nel testo della sentenza n. 10925 del 26 maggio 2016.
Nella vicenda in esame, è stato accolto il ricorso promosso da una Srl, con sede all’estero, contro la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento, disattendendo l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano avanzata dalla medesima.
Nella sentenza impugnata, i giudici di merito avevano ritenuto che fosse solo fittizio il trasferimento della sede societaria della società fallita in terra straniera.
Per contro – a detta della Suprema corte – non risultavano, nel caso in esame, comportamenti o fatti dai quali potesse argomentarsi in tal senso.
Ponendo, ossia, a fondamento della decisione impugnata la mancata prova di rapporti bancari, di contratti in corso, di una contabilità, indicativi di un esercizio effettivo all’estero, era stato erroneamente posto a carico del debitore l'onere della prova circa l’effettività del trasferimento della sede.
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