Non ha diritto ad alcun compenso la società che svolge senza averne il titolo le attività che sono riservate ai professionisti iscritti ad albi. Ciò vale anche per le prestazioni accessorie, come per esempio i servizi di domiciliazione e segreteria o l'esecuzione di pagamenti vari per conto del cliente, nel caso in cui tali attività siano considerate un “un semplice corollario” di quelle riservate per legge.
Lo ha sancito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21015/18, depositata il 23 agosto 2018.
La Suprema Corte conferma l'orientamento della Corte d'appello, ribadendo che le prestazioni di cui era stato chiesto il corrispettivo erano “proprie dei commercialisti e/o degli esperti contabili, così da confermare la nullità del contratto in cui erano state pattuite” dal momento che erano state svolte da una società non qualificata.
I giudici di legittimità fondano le proprie motivazioni sull’interpretazione dell’articolo 2231 del Codice civile, secondo il quale “quando l'esercizio di un'attività professionale è condizionata all'iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione”.
Analogo discorso vale per le prestazioni accessorie, che non possono essere scorporate dal quelle principali. Di qui il rigetto del ricorso ed il mancato riconoscimento da parte degli Ermellini anche dei compensi relativi alle altre attività, non riservate che “il giudice di merito ha reputato attività materiali imprescindibilmente connesse e finalizzate a quelle protette”.
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