La Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 656, comma 5, del Codice di procedura penale (sulla esecuzione delle pene detentive), nella parte in cui prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni.
Il quesito di legittimità costituzionale è stato promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Lecce, investito della qualità di giudice dell’esecuzione nell’ambito di un procedimento penale.
Il giudizio aveva ad oggetto la domanda di sospensione di un ordine di esecuzione della pena detentiva di tre anni, undici mesi e diciassette giorni, che il pubblico ministero aveva emesso in base al predetto articolo 656, comma 1, senza sospenderlo, perché la pena da scontare eccedeva il limite di tre anni fissato dal quinto comma dello stesso articolo, ai sensi del quale, appunto, si ha sospensione dell’ordine ove la pena da espiare non superi i tre anni di detenzione.
Il condannato aveva chiesto al giudice di dichiarare inefficace l’ordine di esecuzione, sull’assunto che lo stesso avrebbe dovuto essere sospeso nonostante la pena da espiare eccedesse il limite triennale, alla luce dell’articolo 47, comma 3-bis, della Legge n. 354/1975, introdotto dall’articolo 3, comma 1, lettera c), del convertito Decreto-legge n. 146/2013 che consente una particolare forma di affidamento in prova quando la pena detentiva da eseguire non è superiore a quattro anni.
La Consulta, investita della questione, la ha ritenuta fondata rilevando, in proposito, che all’introduzione dell’affidamento in prova per pene da espiare fino a quattro anni di detenzione non ha corrisposto un’analoga modificazione del termine indicato dalla disposizione censurata. Infatti, non è stata ancora esercitata la delega legislativa conferita con l’articolo 1, comma 85, lettera c), della Legge n. 103/2017, ai sensi del quale il limite di pena che impone la sospensione dell’ordine di esecuzione è fissato, in ogni caso, in quattro anni.
In detto contesto, per i giudici costituzionali – sentenza n. 41 del 2 marzo 2018 – il legislatore non sarebbe incorso in un mero difetto di coordinamento, ma avrebbe invece leso l’articolo 3 della Costituzione.
Questo non avendo provveduto ad “elevare il termine previsto per sospendere l’ordine di esecuzione della pena detentiva, così da renderlo corrispondente al termine di concessione dell’affidamento in prova allargato”.
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