In tema di licenziamento disciplinare, il giudice, al fine di selezionare la tutela reale o risarcitoria applicabile, può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione del CCNL che, con clausola generale ed elastica, punisca l'illecito con sanzione conservativa.
Tale operazione di interpretazione e sussunzione "non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo".
E' questo l'approdo della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11665/2022), al quale la Corte di cassazione, con ordinanza n. 5599 del 23 febbraio 2023, ha ritenuto di dover dare continuità, nel pronunciarsi in relazione ad una controversia che aveva ad oggetto l'impugnazione di un licenziamento.
Nella vicenda in esame, il dipendente di un'azienda si era opposto al recesso per giusta causa intimatogli dalla datrice di lavoro sulla base della contestazione disciplinare di essere stato sorpreso dai carabinieri, durante la pausa di lavoro, in possesso di 25 grammi di hashish, per fini di spaccio, custoditi nella tuta di lavoro, mentre stava rientrando in azienda.
Il lavoratore, in tale frangente, era stato arrestato con asserito grave discredito del nome commerciale della società per l'eco avuto dalla notizia, anche in ambiente extra-lavorativo.
Dopo che la Corte d'appello aveva confermato la decisione con cui i giudici di primo grado, nel dichiarare l’illegittimità del licenziamento, avevano tuttavia escluso l'applicazione della tutela reale, la sentenza di merito era stata cassata dal Collegio di legittimità, con rinvio alla Corte di secondo grado, in diversa composizione.
In questa sede, i giudici del rinvio avevano condannato la società alla reintegrazione del dipendente.
L'impresa datrice di lavoro, ciò posto, aveva nuovamente adito la Suprema corte, censurando la predetta sentenza nella parte in cui aveva disposto la reintegra nel posto di lavoro.
Doglianza, tuttavia, che non ha trovato accoglimento.
Secondo gli Ermellini, la Corte di rinvio, in conformità del mandato ricevuto, aveva proceduto alla rivalutazione in fatto delle emergenze istruttorie, evidenziando che parte datoriale, sulla quale ricadeva il relativo onere, non aveva dato alcuna prova che la detenzione fosse finalizzata allo spaccio e non fosse per uso personale.
Non era nemmeno stato nemmeno provato, in tale contesto, l'asserito discredito prodotto a danno della società.
Queste circostanze escludevano la corrispondenza della condotta effettivamente tenuta a quella oggetto di contestazione, in considerazione del venir meno, nell'accertamento del giudice del rinvio, di quegli elementi obiettivamente destinati a connotare in termini di maggiore gravità il fatto contestato.
Era dunque legittimo che il giudice avesse ricondotto la concreta fattispecie - come ricostruita - all'ipotesi sanzionata dal CCNL con misura conservativa.
Secondo la Sezione lavoro della Cassazione, del resto, l'applicabilità della tutela reale non trovava ostacolo nella modalità di formulazione della disposizione collettiva di specie, che prevedeva la sanzione conservativa in relazione ad uno spettro indefinito di possibili comportamenti, connotati dalla trasgressione all'osservanza del contratto o dalla commissione di qualsiasi mancanza comportante pregiudizio alla morale, all'igiene ed alla sicurezza dello stabilimento.
Tale tutela, ossia, non risultava preclusa dall'utilizzo di clausole generali richiedenti l'attività di integrazione dell'interprete, per come precisato nel sopra ricordato orientamento di legittimità.
In definitiva, la condotta addebitata era stata legittimamente ricondotta nella previsione del CCNL che puniva l'illecito con sanzione conservativa, anche se espressa tramite clausola generale, ed era corretto, conseguentemente, che fosse stata disposta la reintegrazione del dipendente.
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